Le squadre restano, gli allenatori passano. Gli allenatori restano (nella memoria affettuosa dei tifosi, dei dirigenti, dei compagni di squadra), i giocatori passano. Sfogliando un qualsivoglia album di figurine o ripassando nella mente i ricordi che ciascun appassionato conserva per sé (per trasmetterli magari a eredi diretti o indotti, figli o nipoti, tanto per spiegarci…), si può ripercorrere la storia personale, sociale, nazionale di qualsiasi vicenda sportiva che da momento ludico diventa fatto culturale ed economico di respiro universale. Se ne sono addirittura interessati poeti e statisti, scrittori e sociologhi, imprenditori e demiurghi. “Chi ne delira – scrisse Gianni Brera, che dei cantori del calcio è da considerare senz’altro il più immaginifico – va compreso, non compatito. E magari va invidiato, non deriso”. Nel calcio – aveva chiosato qualche tempo prima addirittura Jean-Paul Sartre – “tutto è complicato dalla presenza della squadra avversaria”, osservazione che Nils Liedholm, indimenticato giocatore svedese (del Milan) e poi allenatore e soprattutto maestro di vita e di sport approdato alle rive della sponda giallorossa di Roma, aveva poi volgarizzato con un icastico “L’allenatore di calcio è il più bel mestiere del mondo. Peccato che ci siano le partite” (Sportweek, agosto 2013). E le partite, Liedholm lo sapeva benissimo, esistevano ed esistono, e dunque bisognava, e bisogna, affrontarle, cercando naturalmente di vincerle. Il che non sempre avviene: anche ai più bravi e fortunati toccano le alterne fortune, così nello sport come nella vita. Lo sta sperimentando Carlo Ancelotti, spesso sull’altare, ora nella polvere, in cui lo hanno cacciato proprio i suoi “ex”, i calciatori della Juventus, a seguito dell’esclusione del Real Madrid dalla finale di Champions League (a Berlino, 6 giugno, ci sarà la Juventus, appunto, e l’altra rivale storica dei madridisti, l’inviso Barça di Messi e Guardiola). Anche per questo, ma forse non solo per questo a Madrid si dà per certo l’addio di Carletto: Florentino Perez non può certo accettare di avere, oltre alle divise, anche una stagione “in blanco”, a maggior ragione se si fa il paragone con l’incedere dei rivali del Barcellona.
CARLETTO IN… BLANCO
