“Il femminicidio – afferma la nota psicologa e psicoterapeuta – rappresenta la cosiddetta punta dell’iceberg della violenza sulle donne. La violenza maschile è un fenomeno strutturale, per cui iniziative importanti e lodevoli non sono sufficienti se non vengono inserite in una modalità di azione a lungo termine e di respiro ampio”
Sempre la stessa drammatica rappresentazione. Quotidianamente, ahinoi, assistiamo a episodi di violenza fisica o verbale nei confronti delle donne: in strada, a scuola, in politica, sul posto di lavoro, in famiglia, sul pianerottolo di un condominio, in tv, sui social… E l’elenco potrebbe essere molto lungo. La cronaca, purtroppo, ne è piena. Nel nostro Paese si stima che una donna venga uccisa ogni 3 giorni per mano maschile; quasi 1 donna su 5 subisce violenze sessuali e fisiche da un partner o da un ex e le violenze psicologiche sono ancora di più. Essendo allora l’aggressività, come spiegano gli esperti, la radice di quasi tutte le forme di violenza, ci troviamo dinanzi a un evidente problema educativo. Una vera e propria “malattia” sociale a cui bisogna porre rimedio, senza se e senza ma. Occorre operare un cambiamento profondo, una revisione del proprio sistema dei valori, inseguire e conquistare la capacità di convivere con l’altro nel segno dell’amore, del rispetto e della comprensione. E ritorniamo all’educazione, il mezzo più efficace per accrescere un progetto che sia portatore di vita e non di morte. Che metta definitivamente in un angolo l’invidia, la gelosia, la rivalità, la paura, l’incapacità di percepire il valore dell’altro.
Trattandosi di un percorso particolarmente impegnativo e nello stesso tempo delicato, abbiamo allora chiesto aiuto a chi, quotidianamente, è sul campo con grande competenza e professionalità. Parliamo della dottoressa Lucia Beltramini, psicologa e psicoterapeuta, ricercatrice e formatrice, esperta in violenza sulle donne e sui minori, prevenzione della violenza nelle coppie di adolescenti e promozione delle pari opportunità. È dottore di ricerca in Neuroscienze e scienze cognitive e docente a contratto presso l’università di Trieste, dove è responsabile dell’insegnamento Violenza alle donne e ai minori per il corso di laurea in Infermieristica. È componente del Comitato Pari Opportunità del Consiglio Nazionale Ordine Psicologi, ha sviluppato diversi progetti di prevenzione con studenti e insegnanti e condotto numerosi corsi di formazione sul tema a personale socio-sanitario e della scuola. Ha inoltre all’attivo diverse pubblicazioni scientifiche e per Carocci ha pubblicato, tempo fa, La violenza di genere in adolescenza, un libro illuminante e quanto mai attuale.
L’escalation di questo triste fenomeno ha reso le giornate della nostra valida interlocutrice ancora più frenetiche, ma non per questo si è resa latitante… E di questo la ringraziamo.
Professoressa Beltramini, cosa le ha suscitato, da studiosa e da donna, l’omicidio di Giulia Cecchettin?
Mi ha fatto male. Tutti i femminicidi fanno male, e suscitano reazioni forti. In questo caso la sua morte mi ha fatto pensare una volta di più a quanto sia cruciale agire prima: il femminicidio, con il carico di dolore e morte che porta con sé, rappresenta la cosiddetta “punta dell’iceberg” della violenza sulle donne, qualcosa su cui ormai non è più possibile intervenire se non in termini riparativi, affrontando la sofferenza e il lutto di chi resta e punendo i colpevoli. Ma tanto può essere fatto prima.
L’ondata emotiva è stata fortissima…
E paradossalmente, come penso sia accaduto a tante persone, sono state proprio le parole di chi avrebbe meritato di essere vista nel suo dolore – la famiglia di Giulia, la sorella di Giulia, Elena – ad aiutare noi a dare una forma a questo dolore, a renderlo la spinta per il cambiamento. In un movimento che spero non si esaurisca quando il clamore mediatico passerà, ma che resterà vivo, per Giulia e per tutte le donne e le ragazze che come lei non ci sono più.
Nonostante le tante manifestazioni e iniziative di sensibilizzazione, però, la mattanza continua…
Dal femminicidio di Giulia Cecchettin sono passati solo pochi giorni e già altre donne sono state uccise. Questo non stupisce – ahimè – chi si occupa di questi temi. La violenza maschile contro le donne è un fenomeno strutturale e non emergenziale, motivo per cui iniziative importanti e lodevoli non sono sufficienti se non vengono inserite in una modalità di azione a lungo termine e di respiro ampio.
Ad esempio?
Nei giorni successivi al femminicidio di Giulia – ma in realtà anche mentre erano in corso le ricerche della ragazza perché, dentro, lo sapevamo tutte (e forse tutti) quale sarebbe stato l’epilogo – ho notato una consapevolezza in più nelle ragazze e nelle donne con le quali mi è capitato di confrontarmi, sia in ambito preventivo che clinico. Possesso e controllo riconosciuti come comportamenti problematici e disturbanti, ad esempio; bisogno di riflettere sulle forme meno esplicite di violenza, spesso campanelli d’allarme importanti che la relazione non va. Una conferma a questa percezione l’ho ritrovata quando ho letto che le richieste di contatto con il 1522, numero nazionale antiviolenza e stalking, sono raddoppiate in questi giorni, passando da 200 a 400/500 telefonate al giorno. A chiamare tante ragazze, e tante mamme di ragazze preoccupate.
Il cambiamento culturale indispensabile per il superamento della violenza, che tra l’altro necessita di tanti elementi, rischia però di essere particolarmente lungo…
Però ciascuno – come uomo, come donna – può giocare un ruolo in tutto questo, sia nei contesti formali sia in quelli informali. Ogni comunità, e la nostra società nel complesso, devono mettere questi temi come priorità. Perché dopo un femminicidio è troppo tardi, ma prima si può fare moltissimo.
Quando si parla di violenza di genere cosa s’intende?
Il pensiero va subito alle esperienze di violenza fisica, psicologica, emotiva, economica e sessuale che donne, ragazze e bambine si trovano a vivere in virtù del genere di appartenenza. Anche se la violenza di genere può, in alcuni casi, colpire ragazzi e uomini o persone lesbiche, gay, bisessuali, transgender, intersessuali o che si stanno ancora interrogando sul proprio orientamento sessuale o sull’identità di genere (lgbtiq+), al fine di “punirle/i” per aver trasgredito alle norme di genere presenti nella società. Sono le donne, le ragazze e le bambine a esserne maggiormente esposte, al punto da considerare i termini violenza di genere e violenza contro le donne come interscambiabili.
I dati forniti dai vari osservatori fanno veramente paura…
A livello globale, più di una donna su tre (35%), a partire dai 15 anni d’età, ha vissuto nel corso della vita almeno un’esperienza di violenza fisica o sessuale (le molestie sono ancora più frequenti), esercitata prevalentemente da un partner, marito, fidanzato, compagno o ex. Una bambina/o su quattro sotto i 5 anni d’età vive con una madre che è vittima di violenza da parte del padre o del compagno della madre. Nelle famiglie in cui una donna subisce violenza, anche dal 40 al 70% dei minori ne è vittima.
Queste esperienze drammatiche come segnano chi le subisce?
Possono impattare in maniera drammatica sul mondo di relazioni e affetti di chi ne è vittima, ma anche sulla sua salute fisica, psicologica, sessuale e riproduttiva e sui comportamenti a rischio (abuso di sostanze stupefacenti, alcol, farmaci, rapporti sessuali non protetti eccetera). L’impatto può essere diretto (subisco una violenza fisica e riporto una lesione) ma anche indiretto, mediato cioè da complesse risposte comportamentali e biologiche (neuronali, neuroendocrine e immunitarie) interconnesse alle situazioni di stress acuto e cronico vissute.
Quindi con il femminicidio si compie l’esito ultimo della violenza…
Proprio così. E anche in questo caso i dati, che comunque, ahinoi, si aggiornano in continuazione, aiutano a far capire il drammatico fenomeno. Nel mondo, dal 38% al 50% del totale degli omicidi di donne risulta commesso dal proprio compagno o da un ex. I figli/e la cui madre è stata uccisa dal padre (o dal compagno della madre) vengono chiamati “orfani speciali”; in Italia si stima che vi siano stati 1.600 orfani speciali dal 2000 al 2015. Nel triennio 2012-2014, gli orfani speciali sono stati 417; tra questi, 52 hanno assistito al femminicidio della propria madre e 18 sono stati uccisi con lei.
La violenza di genere, però, non riguarda purtroppo solo la sfera adulta…
Esattamente. In generale, tra un terzo e due terzi di tutte le vittime di violenza sessuale sono bambine e ragazze di età inferiore ai 15 anni. Nel mondo, circa 70 milioni di ragazze – una su quattro nella fascia d’età compresa tra i 15 e i 19 anni – sono state vittime di violenza fisica. Quindici milioni sono state le adolescenti costrette a subire rapporti sessuali non voluti o altri tipi di violenza di natura sessuale nel contesto familiare, di coppia o da parte di altri ragazzi o uomini conosciuti.
Non ci si ferma nemmeno dinanzi a persone con disabilità…
Macché, proprio quelle esposte alla violenza di genere sono le minori che presentano disabilità fisiche e/o mentali, con un rischio aumentato di dieci volte rispetto alle coetanee senza disabilità.
Senza dimenticare ragazze e bambine appartenenti a culture diverse dalla nostra…
Secondo le stime dell’Organizzazione mondiale della sanità, nel mondo sono circa 200 milioni le donne che hanno subito una mutilazione genitale; tra queste, più di 44 milioni sono bambine e ragazze di meno di 15 anni d’età. Per quanto riguarda i matrimoni forzati, l’Unicef stima che siano circa 12 milioni le bambine costrette a sposarsi ogni anno. Infine, relativamente alla tratta, bambine, ragazze e donne rappresentano a livello globale il 71% delle vittime.
Anche le cifre delle donne colpite addirittura dalla violenza prima che vengano alla luce, sono da brividi…
Le Nazioni Unite, infatti, valutano che, a livello globale, “manchino all’appello” tra i 113 e i 200 milioni di donne, vittime degli aborti selettivi dei feti di sesso femminile praticati in Paesi quali Cina, India, Albania, Montenegro. In pratica, nel complesso, le adolescenti, le donne, le ragazze e le bambine appartenenti a minoranze etniche o con disabilità sono quelle esposte al maggior rischio per tutte le tipologie di violenza.
Fin qui numeri impressionanti che disegnano un quadro a dir poco allarmante. Anche il doversi occupare della violenza di genere in adolescenza, però, lascia l’animo inquieto… Da sempre, infatti, è stata dipinta come l’età più bella, pur se intramezzata da qualche temporale…
Nonostante la rilevanza che può avere proprio in questa fase della vita, la violenza di genere in adolescenza pare essere relativamente poco “vista”. Sembra diventare evidente soltanto a fronte di eclatanti fatti di cronaca, come l’uccisione di una sedicenne da parte del “fidanzatino”, il suicidio di una quattordicenne in seguito a violenza sessuale di gruppo, la scoperta di una chat di gruppo nella quale venticinque ragazzi di età compresa tra i 13 e i 19 anni si scambiano video pedopornografici e violenti. A essere celata è la quotidianità, fatta di atti frequenti e subdoli che possono portare anche a tali estreme conseguenze.
Quindi la sfida da vincere è la prevenzione nei contesti educativi…
Educare e sensibilizzare le nuove generazioni ai temi della violenza e del rispetto di genere rappresenta non solo una sfida importante per gli adulti che vivono accanto a ragazze e ragazzi, ma anche una forma di tutela nei loro confronti. Un’adeguata azione preventiva può infatti promuovere benessere e salute, contribuire a diffondere una cultura dei rapporti tra i sessi più equa, migliorare la qualità delle relazioni – affettive e non – in adolescenza e in età adulta.
Una prova complicata…
Sicuramente, ma non per questo bisogna arrendersi. Significa lavorare non solo sulla violenza in sé, ma anche sui presupposti culturali che ne costituiscono il substrato, sui pregiudizi ancora presenti, sulle difficoltà a riconoscerne le forme spesso banalizzate. Significa confrontarsi con stereotipi spesso ben radicati e credenze condivise. Significa, talvolta, andare “controcorrente”, per svelare meccanismi di sopraffazione tra i generi non sempre evidenti. Tuttavia è una sfida da non lasciarsi sfuggire, perché ragazze e ragazzi sono particolarmente responsivi alle azioni preventive nelle quali si sentono coinvolti, in collaborazione con adulti che sappiano mettersi loro accanto e che credano nelle loro capacità.
Quanto è importante promuovere la parità per prevenire la violenza?
Nonostante i molti progressi in materia di pari opportunità e diritti tra uomini e donne, i ruoli di genere tradizionali sono ancora diffusi in modo pervasivo sia in Europa che nel mondo. In Europa, ad esempio, una donna ancora guadagna in media il 16% in meno rispetto a un uomo, a parità di mansione svolta; che nei ruoli decisionali e di potere le donne sono ancora una minoranza; che in Italia il tasso di occupazione femminile è ben lontano da quello maschile, e che si abbassa ulteriormente quando in una famiglia arrivano dei figli; che ragazze e donne tendono a non scegliere percorsi di istruzione e di lavoro negli ambiti più competitivi e remunerativi, le discipline tecnico-scientifiche, perché considerati “non da donne”.
Che dire, invece, dei comportamenti da adottare in famiglia?
Quando si pensa alla parola “famiglia” questo termine evoca un luogo di legami, amore, sicurezza. La famiglia è il primo contesto di riferimento per bambini e bambine; al suo interno si sviluppano le relazioni di attaccamento e si osservano i primi modelli di comportamento; è sempre in famiglia che si apprendono le regole, i permessi, i divieti, prima di aprirsi al mondo di relazioni che esiste anche al di fuori. Una famiglia nella quale i rapporti sono sereni ed equilibrati, e chi ne fa parte si rispetta reciprocamente e sostiene l’altro, rappresenta un importante fattore di protezione per la crescita. Non sempre, però, la famiglia è il contesto protettivo che dovrebbe essere, e da luogo sicuro può diventare un ambiente anche molto pericoloso.
Ma l’essere esposti a violenza intrafamiliare in infanzia può aumentare il rischio di agire o subire violenza nelle proprie relazioni di coppia in adolescenza e in età adulta?
Aver subito o assistito a violenze in infanzia non condanna un uomo a doverle compiere a sua volta, né una donna a doverne inevitabilmente essere vittima. Diversi fattori protettivi e la resilienza, cioè la capacità di far fronte alle difficoltà e diminuire l’impatto delle esperienze negative e dolorose, possono intervenire per spezzare la trasmissione intergenerazionale della violenza.
Cos’è la “cyberviolenza di coppia”?
Il termine sta a indicare i comportamenti violenti perpetrati dal partner tramite i nuovi mezzi di comunicazione (e-mail, sms, blog, telefoni cellulari, social network). Nell’ambito della cyberviolenza di coppia sono incluse minacce, intimidazioni, molestie, insulti, utilizzo dei social network del partner senza il suo consenso, sottrazione delle password, invio non desiderato di immagini con contenuti sessuali (sexting), richieste e ricatti sessuali, creazione di gruppi online al fine di incitare all’odio verso la ragazza che ha deciso di uscire dalla relazione. Parliamo di modalità violente che possono essere molto invalidanti per le vittime. Basti pensare a fenomeni come la “vendetta porno” o “pornografia della vendetta”, che solitamente avvengono dopo che il partner è stato lasciato. In questa direzione, appunto, sono diventati tristemente noti i siti o le pagine dei social network nei quali ragazzi e uomini hanno raccolto e condiviso le immagini delle partner o delle ex, in alcuni casi protetti dall’anonimato. E purtroppo, in alcuni casi, tali pratiche hanno portato anche al suicidio delle vittime. La violenza di coppia tramite mezzi tecnologici, dunque, non deve essere considerata una forma di violenza separata, ma una traduzione, mediante strumenti informatici, delle differenti tipologie di violenza di coppia.
Quanto è difficile, invece, raccontare una violenza sessuale?
Affrontare il tema delle violenze e delle molestie sessuali non è semplice. Il solo nominarle può evocare in chi ascolta o legge sensazioni ed emozioni molto diverse: paura, disgusto, rabbia, orrore, impotenza. Pensare che bambine e ragazze siano tra le principali vittime può spingere a un’ulteriore chiusura, al tentativo di non voler vedere o sapere. Tuttavia, adulti consapevoli e formati possono svolgere un ruolo importante sia nel prevenire che nel contrastare questi fenomeni, in primo luogo imparando a riconoscere la violenza, spesso subdolamente celata in comportamenti descritti come “normali”.
Come distinguere le molestie dal bullismo?
Spesso, gli atti di molestia sulle adolescenti, a scuola ma non solo, vengono erroneamente ricondotti a forme di bullismo. Molestie sessuali e bullismo sono stati spesso presentati come fenomeni nettamente separati, l’uno legato alle dinamiche di genere, l’altro a quelle scolastiche e adolescenziali. Ma siamo certi che quanto viene fatto rientrare nella categoria del bullismo sia in grado di cogliere tutta la complessità degli episodi che accadono?
A proposito di modelli, in un terreno così scivoloso quanto può incidere, a suo avviso, l’influenza dei media?
Soprattutto in adolescenza, i mass media sembrano rappresentare un’importante fonte di modelli per le giovani generazioni, modelli di maschile e femminile, ma anche di relazione tra i generi, più o meno improntati al rispetto o, viceversa, alla sopraffazione. È quindi importante che giovani e giovanissimi acquisiscano uno spirito critico nell’osservare la realtà, perché le immagini, le parole, i messaggi, anche quelli più problematici, possono essere veicolati e appresi anche in maniera implicita, bypassando il filtro della riflessione e della consapevolezza. Aumentando quindi la consapevolezza sulla realtà che ci circonda, possiamo diventare più consapevoli dei condizionamenti ai quali siamo esposti e avere la possibilità di prendere decisioni più libere per la nostra vita.
La violenza di genere in che modo può trovare spazio nell’informazione?
In forma diretta, con rappresentazioni esplicite di maltrattamento, o in modo indiretto, attraverso la costante riproposizione di modelli stereotipati di maschile e femminile. La violenza tramite i media può essere veicolata, soprattutto alle bambine e alle ragazze, attraverso modelli di femminile sempre più sessualizzati, seducenti e inappropriati per la loro età; può essere ascoltata, nei testi delle canzoni di interpreti anche famosi e mimata nei video musicali; proposta come normale in alcuni videogiochi diffusi soprattutto tra bambini e ragazzi; osservata, come accade quando ci si trova a guardare alcuni film, pubblicità o trasmissioni televisive dai contenuti sessisti e misogini; rappresentata come modello accettabile di relazione sessuale, come accade nella pornografia violenta; banalizzata in certi articoli proposti dalla stampa. Essere esposti a questi messaggi, dunque, produce un effetto non neutro sulle percezioni, credenze e attitudini dei più giovani: se è vero, infatti, che la semplice esposizione alla violenza nei media non determina automaticamente un cambiamento nei comportamenti, tuttavia ciò può portare a una maggiore accettazione e tolleranza nei confronti di alcune forme di violenza.
Al di là dei tanti consigli e comportamenti da adottare che dovrebbero fare propri ragazzi e adulti per promuovere parità e rispetto di genere e contrastare la violenza, cosa occorre per non perdere la speranza? Per continuare a credere che un cambiamento sia possibile, nonostante tutto?
Intanto a livello sociale e politico, è innegabile che molto sia cambiato e stia cambiando. Nonostante le resistenze e i “contraccolpi”, nonostante il percorso sembri ancora lungo, i segni del cambiamento sono ovunque. Li ritroviamo, ad esempio, in una mamma e un papà che amano i loro figli, si amano tra di loro e condividono tempi e modi della gestione della quotidianità. Nella pratica di un insegnante che, faticosamente, ogni giorno, mostra ai suoi alunni e alle sue alunne in che modo si possa essere educati e corretti nelle relazioni. Nella dedizione di un’operatrice che, lavorando con ragazze e ragazzi, cerca di riflettere insieme a loro su quello che significa essere uomini e donne nella società di oggi. Gli esempi potrebbero essere infiniti. Per rispondere alla sua domanda, quindi, in tutto questo l’educazione sembra essere il mezzo più potente a nostra disposizione per fornire, soprattutto ai più giovani, strumenti in grado di aiutarli a leggere la complessità della realtà e a sviluppare un pensiero proprio, creativo, inclusivo. Ma anche per accompagnarli nella crescita, proponendo loro modelli, e messaggi positivi, affinché diventino donne e uomini consapevoli, corretti, rispettosi, mai violenti. Il cambiamento è iniziato e soffia come un vento, a tratti leggero, a tratti forte, sulle nostre vite, sulle nostre società. A ciascuno di noi il compito di alimentarlo, per renderlo parte del nostro futuro e di quello delle nuove generazioni. Crediamo in loro, crediamo in noi.