BISOGNA FERMARSI UN POCO DI TANTO IN TANTO

By Mons. Antonio Riboldi
Pubblicato il 2 Luglio 2013

Non è facile, nella frenesia della nostra vita, farsi prendere dalla necessità di riposare un poco, ossia di fermarsi, di osservare chi siamo, dove andiamo, cosa facciamo, come fa l’architetto quando una casa è in costruzione. Non è tanto un partire per le vacanze, che, alle volte, per il come si impostano, diventano l’assurdo prolungamento di una stanchezza, di una confusione che invece dovrebbe essere evitata. Ma è un mettersi in disparte, un togliersi di dosso tutti i pesi che ci schiacciano, come fa chi va in montagna, e fare così respirare mente, cuore e spirito, alla luce della parola del Signore, al caldo del suo amore, nella serenità di una ritrovata fiducia in lui, nella vita, in tutto.

Come fece Gesù e ci narra il vangelo: “Gli apostoli si riunirono intorno a Gesù e gli riferirono tutto quello che avevano fatto e insegnato. Egli disse loro: Venite in disparte, in un luogo solitario, e riposatevi un poco. Era, infatti, molta la folla che andava e veniva e non avevano più neanche il tempo di mangiare. Allora partirono sulla barca, verso un luogo solitario, in disparte. Molti però li videro partire e capirono e da tutte le città cominciarono ad accorrere là a piedi e li precedettero. Sbarcando, vide molta folla e si commosse per loro, perché erano come pecore senza pastore e si mise ad insegnare loro molte cose” (Mc 6,30-34).

È un prezioso racconto, come fosse la cronaca di una giornata di Gesù con i suoi apostoli in piena azione tra la gente. Alla fine dell’intensa giornata, tanto piena “da non avere avuto neppure il tempo di mangiare”, gli apostoli sentono il bisogno di raccontare al maestro tutto quanto hanno vissuto. Lui li aveva inviati tra la gente, di paese in paese, di porta in porta, a donare pace e annunziare che il regno del Signore era vicino.

Facile immaginare quanto avevano da dire a Gesù: qualcosa di bello forse, o molta indifferenza o qualche ostilità. Né più né meno come ai nostri giorni. E attorno a Gesù era un andare e venire di gente che voleva sentire o chiedere. Lui era diventato il termine di una speranza che forse si credeva non avesse più residenza su questa terra.

A lui confluivano gli stracci dell’umanità, fatta a pezzi in mille modi e che tentavano una ricomposizione in lui, nella sua parola e nel suo infinito amore che sapeva piegarsi con il cuore del buon samaritano sull’uomo: anche se forse neppure sapevano come sarebbe potuta avvenire una simile ricomposizione o rinascita. Il gruppetto degli apostoli era come investito dalla miseria dell’umanità, interpellato, stordito.

Come capita ai nostri giorni: a tutti noi che nella chiesa operiamo, con Gesù e nel nome di Gesù, tra la gente del nostro tempo senza, anche noi, molte volte avere il tempo di mangiare.

E per molti versi è bene sia così: perché vuol dire che la chiesa è come Gesù, il termine della speranza: “la fontanella del paese con acqua fresca”, direbbe il buon papa Giovanni XXIII, pronta a soddisfare la sete di tutti gli assetati che lo desiderano, senza alcuna esclusione.

C’è il rischio di farsi travolgere al punto da non sapere più reggere alla fatica. D’altra parte i poveri, la povertà, la disperazione non hanno e non danno soste.

Come per Gesù, ti precedono anche nel desiderio di andare in disparte in luogo solitario. Il primo movimento del cuore, quello che viene osservando l’umanità di oggi, è quello della compassione, perché “sono pecore senza pastore”: compassione come condivisione della miseria per infondere vita, donare tutta la verità possibile perché si sentano confortati nella luce. Ma, nonostante le urgenze, è necessario per tutti fermarsi un poco, “andare in un luogo solitario, in disparte” per riposare come ordinava Gesù ai suoi.

Quanto ordinava Gesù ieri e oggi, non è e non era un fuggire dalle proprie responsabilità, un chiudere gli occhi di fronte alla disperazione o alla sofferenza; era ed è soltanto un ricaricarsi; un farsi ricaricare stando a tu per tu vicino a Gesù, che è il solo e unico riposo interiore.

Tutti quelli che vogliono dare speranza alle miserie di questo mondo, non rinunciano mai a “ritirarsi in disparte” con Gesù ogni giorno nella preghiera, nella meditazione, che sono i momenti forti della giornata. Così come sanno trovare durante le vacanze un breve periodo di solitudine con il maestro negli esercizi spirituali o in altro modo.

Poi tornano tra la gente rinvigoriti, pieni di quella carità che solo Cristo sa dare in abbondanza. E non esitano un istante nella giornata, là dove Dio li mette, accanto al prossimo da amare, a farsi “mangiare” dalle miserie altrui.

Il povero cerca questi “pani” di Cristo: li sa anche trovare, li assedia, perché scopre che la loro presenza, la loro opera, la loro parola, sono un nutrimento, che offre conforto e speranza, perché radicato nella comunione con Cristo, testimonianza vivente del suo stesso amore che si dona attraverso i suoi, cioè coloro che sanno stare in disparte con lui.

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