BILANCIO 2014: DUE VOLTI DELL’AFRICA

DA UNA PARTE LA GUERRA, LA MANCATA CRESCITA, LA VIOLENZA DEI FODAMENTALISTI DALL’ALTRA, INVECE, LE ENERGIE INTELLETTUALI, COMUNITARIE E MORALI CHE CONCORRONO A FORGIARE LE NUOVE SOCIETÀ DEL CONTINENTE Prima o poi il mondo occidentale dovrà ammettere di vivere su preconcetti e di non rendere giustizia all’Africa. Oggi, per esempio, fa notizia soltanto il negativo: il fallimento delle “primavere arabe” lungo tutta la costiera mediterranea, dalla Tunisia alla Libia all’Egitto, con il tragico prolungamento dello scontro in Siria; le situazioni di guerra civile in Sud Sudan, nella Repubblica Centroafricana, nel Mali, nell’ex Congo belga, in Somalia, in Nigeria. Sullo sfondo, l’inquietudine per la violenza diffusa dai fondamentalismi pseudo-religiosi di matrice islamica. Quelle situazioni ci fanno certamente capire che si ha bisogno di un’Africa “in sicurezza” per garantire uno sviluppo comune e la diffusione di valori di pace e progresso. Bisogna però chiedersi chi debba condividere le responsabilità di una mancata crescita. Non dimentichiamo che il continente nero alle società “bianche”, nel corso di almeno un secolo, ha trasferito ricchezze in una misura pari a tre volte quella che ha ricevuto in “civilizzazione”, sostanzialmente in infrastrutture stradali, ferroviarie, energetiche che sono servite anche alle potenze dominanti. E la stessa istruzione, impartita peraltro nelle lingue dei colonizzatori, è servita ad allevare funzionari locali. Da quello sfruttamento l’Africa non si è ancora ripresa. Con alcune aggravanti. La prima sta nell’aver lasciato esempi clamorosi di corruzione. La “tangente” è stata una pratica corrente delle amministrazioni coloniali. Oggi se ne pagano le conseguenze nel costume: nella classifica delle società corrotte, infatti, sono numerosi quelli africani che si contendono gli ultimi posti. E tuttavia va ricordato che l’Italia – 66ma nell’elenco su 177 – è preceduta da otto più virtuosi paesi del continente nero.

La seconda aggravante riguarda lo sfruttamento che ancor oggi praticano le multinazionali di quell’occidente che dà lezioni di etica finanziaria attraverso la pratica di una economia di mercato che ben merita l’aggettivo di “selvaggia”. In compagnia di quegli stati che stanno emergendo a livello internazionale – i cosiddetti “brics”, Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica – e i cui sistemi di concorrenza non si riferiscono certamente a criteri morali. Così continua a farne le spese l’Africa dei poveri, stretta fra corruzione e dividendi, in una “caccia al tesoro” delle risorse naturali e minerarie e, da poco, delle terre arabili.

Infine, la guerra. Perché il continente è il mercato più ricettivo per ogni tipo di ordigni bellici, spesso provenienti dagli scarti delle grandi potenze che, con quei traffici, ricavano introiti con i quali provvedere al rinnovo dei propri arsenali. Così i commercianti della morte e i commessi viaggiatori della violenza fanno affari d’oro particolarmente nelle situazioni di cui si è parlato, ma anche in altre circostanze di tutti i continenti, là dove tintinnano le sciabole di stati maggiori, forze rivoluzionarie e terroristi.

Ma c’è un’altra Africa. Senza voler considerare quella (straordinaria, come sa chiunque l’abbia avvicinata) della musica, della letteratura, delle arti, delle religioni, in un continente dalle duemila lingue parlate e dalle culture diversificate si fanno largo energie intellettuali, comunitarie e morali che concorrono a forgiare le nuove società del continente. Si costruiscono, anche se con fatica, sistemi economici non di rado innovativi, incarnati nelle realtà locali: piccole industrie che razionalizzano prodotti artigianali, negozi invece di botteghe volanti, valorizzazione in loco delle materie prime che una volta venivano vendute e riacquistate dall’estero. Un economista francese ha indicato questo fenomeno con una espressione felice: dalla sopravvivenza al progetto.

Gli esempi non mancano. Si può cominciare da quegli studenti francofoni che, con sacrifici, frequentano a Parigi l’Ecole nationale d’administration, la prestigiosa Ena. Ne escono economisti e manager di prim’ordine che tornano poi nei paesi d’origine, come fanno del resto medici, ingegneri, insegnanti, agronomi. E gli effetti se ne vedono in Bénin, in Togo, in Burkina-Faso, in Marocco, e anche là dove, in Senegal, in Costa d’Avorio, in Camerun, si registra una certa fragilità politica. Il livello medio di scolarità è cresciuto in Africa all’83 per cento per i maschi, al 78 per le bambine: un dato estremamente importante per società in cui le donne hanno un ruolo determinante. Dal 1990 al 2012 la mortalità infantile si è dimezzata.

Un handicap sta nella mancanza di infrastrutture, alla quale si sta cercando di porre rimedio. L’Africa è poco servita dai nuovi strumenti delle comunicazioni ma in alcuni casi muove, nonostante la povertà dei mezzi, anche sul piano della tecnologia, sfruttando con intelligenza gli spazi vuoti dell’etere. Così come ci si è inventati una barriera naturale che contiene da ovest a est tutta la fascia sabbiosa del Sahel e, evitando la desertificazione, rilancia l’agricoltura. Perché il continente possiede estensioni immense di terre arabili (sulle quali si stanno avventando le speculazioni cinese e petrolarabe), che potrebbero nutrire il miliardo di persone che lo popolano: in alcuni paesi le politiche agricole che si cominciano a mettere in atto cercano di salvare quel terzo della produzione che, purtroppo, va perduto per mancanza di strade e di mezzi di trasporto. E ancora problemi: le carenze sanitarie, la mancanza di una rete idrica e la scarsezza di acqua in superficie, mentre ce ne sono immense riserve, non difficilmente raggiungibili, nel sottosuolo.

Così l’Africa, oggi, va pensata. Senza pregiudizi.