BETLEMME IL CAMPO DEI PASTORI
Un anonimo pellegrino dei primi secoli, narrando la sua visita a Betlemme scrive: “Non lontano di là c’è una chiesa detta dei pastori, e c’è in quel luogo una grotta, che ha un altare là dove un angelo, apparso ai pastori, annunciò la nascita di Cristo”. Quest’annotazione ben circostanziata coincide con il luogo citato da san Girolamo, e che lui identifica con la biblica Torre del gregge.
Da scavi effettuati negli anni settanta è stato possibile stabilire che nella suddetta area si succedettero due chiese con annessi monasteri: la prima del IV e la successiva del VI secolo. Durante gli scavi, l’archeologo francescano Virgilio Corbo notò che la chiesa del VI secolo venne edificata sullo stesso posto della precedente, nonostante che il terreno fosse in pendenza. Il celebre archeologo fornisce la seguente spiegazione: “Perché proprio in quel luogo apparve l’angelo ai pastori”. Purtroppo quella chiesa e l’annesso monastero del VI secolo furono distrutti dai musulmani nell’VIII secolo. Restarono solo pochi ruderi. L’attuale santuario costruito nel 1953/54 su progetto dell’architetto Antonio Barluzzi, sorge su una roccia da cui si possono osservare il sottostante sito archeologico e la città di Betlemme in alto a circa due chilometri a nordest. Il santuario ha forma di un poligono a dieci lati, cinque dritti e cinque sporgenti e inclinati verso il centro, a forma di tenda di pastori.
A questo punto, credo giusto menzionare alcuni nomi biblici che hanno dato lustro alla città natale del Messia. A Betlemme fu sepolta Rachele, moglie del patriarca Giacobbe. Nella stessa regione inoltre avvenne il suggestivo episodio di Rut, la bisnonna del re Davide, mentre era intenta a raccogliere le spighe di frumento dei mietitori di Booz. Ma il personaggio più illustre di Betlemme nell’antico Israele è il re Davide. Dieci secoli prima di Cristo, si trovava a pascolare il gregge probabilmente nello stesso luogo dove l’angelo apparve ai pastori.
E arriviamo alla notte santa. Il vangelo di Luca ci offre questa stupenda descrizione: “C’erano in quella regione alcuni pastori che, pernottando all’aperto, vegliavano tutta la notte facendo la guardia al loro gregge. Un angelo del Signore si presentò a loro. Essi furono presi da grande timore, ma l’angelo disse: Non temete, ecco vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo; oggi nella città di Davide è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore. Questo per voi il segno, troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia”.
Mi ha sempre suscitato grande emozione questo racconto. Vien da chiedersi: come mai Dio manda gli angeli a un gruppo di pastori e non ai sacerdoti del tempio o ai dottori della legge che ben conoscevano il luogo in cui doveva nascere il Messia? C’è una sola risposta: la logica di Dio non è come quella degli uomini. Gesù lo farà capire in vari modi durante la sua predicazione. Un giorno, rivolgendosi al Padre esultò di gioia nello Spirito Santo ed esclamò: “Ti rendo lode, o Padre, signore del cielo e della terra, poiché hai nascosto queste cose (cioè le meraviglie di Dio) ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza”.
Qui è opportuno tracciare un profilo realistico della posizione sociale dei pastori. Per farlo, ricorro alla descrizione che ne fanno due sommi studiosi della storia dell’antica Palestina, Giuseppe Ricciotti e Gianfranco Ravasi. Il primo parla dei pastori così: “I pecorai riscuotevano pessima reputazione presso i farisei e gli scribi. In primo luogo la loro stessa vita nomade nella steppa, scarseggiante d’acqua, li rendeva lerci, fetenti, ignari di tutte le fondamentali leggi sulla lavanda delle mani, sulla purità delle stoviglie, sulla scelta dei cibi, e quindi essi costituivano quel popolo della terra che era degno per i farisei del più cordiale disprezzo; inoltre, passavano per ladri. Perciò erano esclusi dai tribunali. Senonché, esclusi dalla corte giudiziaria dei farisei, questi bassissimi pecorai entrano nella corte regale del neonato figlio di David (Gesù), e vi sono invitati dai celestiali cortigiani dell’Altissimo (gli angeli)”.
Sulla stessa linea si pone il cardinale Gianfranco Ravasi: “I pastori rappresentano gli emarginati, i poveri, gli ultimi; non potevano accedere al tempio di Sion perché considerati impuri”. Interessante e ironico suona il commento del Ricciotti: “I pastori erano uomini rozzi, sì, che non sapevano nulla dell’immensa dottrina dei farisei; ma da israeliti semplici e d’antico stampo, sapevano del Messia promesso dai profeti al loro popolo, e ne avranno spesso parlato durante le lunghe veglie di guardia al gregge”.
Dopo l’annuncio, prosegue l’evangelista Luca: “Apparve con l’angelo una moltitudine dell’esercito celeste, che lodava Dio e diceva: Gloria a Dio nell’alto dei cieli e pace in terra agli uomini che egli ama”. Il primo gloria cantato nel cielo stellato di Betlemme.
I pastori si dicevano l’un l’altro: “Andiamo dunque fino a Betlemme, vediamo questo avvenimento che il Signore ci ha fatto conoscere. Andarono senza indugio, e trovarono Maria e Giuseppe e il Bambino, adagiato nella mangiatoia. E dopo averlo visto, riferirono ciò che del Bambino era stato detto loro. Maria, da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore”. Poi, pieni di gioia, i pastori tornarono alle loro pecore. Per strada narravano a tutti ciò che avevano visto e contemplato.
Nei presepi di Natale non mancano mai i pastori. Senza di loro non c’è poesia. Anche Gesù Bambino si dispiacerebbe. Concludo con una riflessione. L’inizio e la fine del vangelo si richiamano. Due grotte si illuminano. Entrano in scena due categorie di persone e-marginate. I pastori e una donna, Maria Maddalena. Dopo la visione di Gesù diventano i primi annunciatori della buona novella.
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