Sì, vabbè. Ci sarà anche la possibilità di rateizzare le bollette dell’energia elettrica o del gas, ma prima o poi bisognerà pagarle. Cambia molto poco nell’economia dei pensionati. Di quelle persone anziane (e sono molte) che vivono esclusivamente del misero reddito della pensione. Si tratta di fare i conti con le dita di una mano: mangiare poco o nulla a pranzo; la sera una tazze di latte e, forse, qualche biscotto. Il resto va tutto per le spese di riscaldamento (qualche ora al giorno) e per avere un po’ di luce in casa.
Nonostante le ristrettezze e le economie sul pranzo, sul tenersi un tantino al caldo (e si sa che quanto più si va avanti con l’età, tanto più necessitiamo di scaldarci) e qualche indumento acquistato alla bancarella del mercato del sabato, la sola pensione non basta. E allora arrivano le mazzate. Il servizio elettrico che depotenzia la fornitura di energia. No, non la tagliano del tutto, ma è come se lo fosse: basta solo ad accendere un paio di lampadine. E dopo le mazzate arrivano gli sciacalli. Gli usurai sono sempre in agguato. “Ci pensiamo noi. Ti diamo i soldi necessari per pagare le bollette rateizzate. Basta solo che ci versi gli interessi mensili sul prestito che ti facciamo”. Il discorso è semplice e molti anziani ci cascano. Quelle rate mensili solo per appianare gli interessi agli strozzini finiscono per annullare anche la possibilità di pagare (a rate) le bollette dell’energia.
La situazione sta diventando drammatica, denunciano le associazioni dei consumatori. Il problema è sociale, perché queste persone rinunciano alle cure mediche e all’acquisto di quei medicinali che, in molti casi, non sono coperti dal Servizio sanitario nazionale. L’Adicon-sum Abruzzo, la Caritas, gli amministratori comunali conoscono fin bene la situazione dei pensionati . Soprattutto di quelli che vivono nelle zone di montagna dove il riscaldamento diventa una necessità vitale. Senza si muore. I pannicelli caldi non bastano più, servono solo ad alleviare di poco la condizione disumana in cui versano queste famiglie composte da coniugi anziani che non possono disporre di altri redditi se non quelli derivanti dai contributi versati all’istituto prevenzione con una vita di lavoro e sacrifici. Privazioni prima, povertà dopo.
Di storie di ordinaria disperazione se ne registrano tutti i giorni in tutti i Comuni della regione. Le azioni umanitarie non bastano più. Il problema è strutturale e va affrontato con misure perequative. La ricchezza di una nazione va redistribuita secondo i bisogni delle persone. I reddito di inclusione (Rei), la misura unica a livello nazionale di contrasto alla povertà e all’esclusione sociale dal 2019 non è più riconosciuta e rinnovata. Gran parte delle risorse di questo fondo povertà sono confluite nell’ambito del nuovo fondo per il Reddito di cittadinanza. Durante il Covid è stato istituito, per soli due mesi, il reddito di emergenza (Rei), ma è servito a poco.
La fotografia di una Italia e di un Abruzzo in grave sofferenza è tratteggiata anche dal rapporto Caritas Italia 2021 su povertà ed esclusione sociale. Ma si badi bene: è stato redatto durante la pandemia da Covid. Il dopo è sicuramente peggiorato per via dell’inflazione che ha raggiunto livelli non più sostenibili per queste famiglie e non solo per le bollette d’oro. La spesa al supermercato getta un desolato sguardo sul carrello sempre più vuoto. E allora! Non è più il tempo dei bonus da 150 euro, della carità di Stato. Siamo a un tornante della storia sociale del Paese che impone misure congrue di redistribuzione della ricchezza.