A fare l’elenco degli impegni “inderogabili” che il parlamento e il governo dovrebbero onorare entro il 31 dicembre (a cominciare dalla manovra finanziaria) ci vorrebbero un paio d’ore. Per quelli invece che dovrebbero onorare entro il 2018 (fine teorica della legislatura) almeno mezza giornata. E onorare impegni significa, innanzitutto, reperire risorse finanziarie, da quantificare realisticamente, indicando con precisione come e da chi reperirle. Per esempio, in coerenza agli impegni assunti dai precedenti e dal governo in carica con l’unione Europea in materia di equilibrio di bilancio, se entro il 1° gennaio 2016 il governo non troverà 18-20 miliardi di nuove risorse a quello scopo, l’Iva su tutti i prodotti dovrà aumentare di uno o due punti.
Altro esempio: il presidente del consiglio non perde occasione per ribadire che diminuirà le tasse. A cominciare dalla abolizione dell’Imu sulla prima casa, e a seguire con nuovi tagli dell’Irap, a favore delle imprese, e con la riduzione delle ritenute sulle fasce basse di salari e pensioni. Ma siccome anche operazioni del genere hanno un costo che si aggira sui 20 miliardi (che non possono essere coperti stampando nuovi euro) sarebbe doveroso per il governo far sapere come ritiene di coprirne il costo. Ma su questo punto il presidente del consiglio e i ministri competenti o tacciono o parlano di cifre e di modi di prelievo che variano a seconda delle circostanze e della platea degli uditori. Tutto questo mentre nubi tempestose si stanno addensando sull’economia e sulle finanze di tutto il mondo, e in particolare sull’Europa, e dunque sull’Italia. Europa e Italia strette oltretutto nella morsa di problemi quali le ondate montanti di profughi, e le crisi (sempre più gravi) della Libia e dell’Ucraina. Il crollo infatti delle borse cinesi ( con contraccolpi su quelle del resto del mondo), e la crisi economica e sociale del gigante asiatico e di paesi quali il Brasile e la Russia peseranno, sempre di più, su quelli la cui economia tragga risorse soprattutto dalle esportazioni, che in Europa sono – al primo e al secondo posto – la Germania e l’Italia. Quella del nostro paese è una situazione descritta in alcune sintetiche (ma efficaci) osservazioni di Mario Deaglio su La Stampa del 27 luglio scorso. Nella Prima Repubblica – scriveva – la politica era fortemente sorretta da principi e ideologie, e “faceva riferimento al quadro della programmazione con l’obiettivo generale di ridurre i divari sociali, territoriali e settoriali. Su come ridurre tali divari si studiava e si dibatteva con un dialogo a tutti i livelli. Questo dialogo si interruppe gradualmente negli anni 80, e gradualmente fu sostituito negli anni 90 da una generica faciloneria: Dai convegni sulle riforme possibili si passò alle chiacchiere da bar, nelle quali tutto diventava possibile”.
In estate il dramma – ormai continentale – dei profughi è stato dibattuto, il più delle volte, sull’onda di spregevoli tentativi di strumentalizzarlo a fini di parte. E più degli altri, gravi e urgenti, problemi (quali, per esempio, come affrontare con ampio respiro quello della disoccupazione, quello della riqualificazione della scuola e della pubblica amministrazione; come eliminare gli sprechi strutturali nella sanità da parte, in particolare, delle regioni; come aiutare le famiglie, che restano la cellula-base della società), nei dibattiti estivi gli spazi di gran lunga maggiori sono stati quelli dedicati alle squallide imprese della mafia romana di terz’ordine, che ha inquinato tutta la politica, pure di terz’ordine, della capitale. E, a seguire, i dibattiti sui significati culturali, antropologici, politici, sociali, e chi più ne ha più ne metta, del funerale di Vittorio Casamonica (capo di una famiglia Sinti, presente a Roma da oltre 50 anni, che s’è arricchita con traffici illeciti conosciuti da sempre, da tutti, senza che sia mai stata contrastata in modo adeguato). Funerale “onorato” con una pioggia di rose lanciate da un elicottero, e accompagnato da una (stonatissima) banda che suonava la colonna.