Prima di parlare di autonomia differenziata dovremmo chiederci una sola cosa: le risorse dove sono? Dopo che questa domanda avrà ricevuto una risposta adeguata, corretta, e non una semplice promessa di tagli qua e là, potremo seriamente discutere di come trasferire alle Regioni, applicando la Costituzione, alcuni poteri di rilevanza economica. Se il costo dei nuovi Livelli essenziali di prestazioni, gli ormai mitici Lep, sarà sostenibile, allora la realizzazione pratica della riforma non sarà quel cataclisma istituzionale che molti temono, o addirittura la “secessione dei ricchi”. Perché non vi è nulla di scandaloso nel tentativo, in un’ottica autenticamente federalista, di gestire meglio, a livello locale anziché nazionale, alcuni servizi.
A un patto, anzi due. Il primo è relativo al buon senso che, a volte, come scriveva il Manzoni, se ne sta nascosto per paura del senso comune. Dunque, facciamola pure questa autonomia differenziata, ma al momento del confronto tra governo e regioni sul trasferimento dei poteri, i contraenti dovranno rispondere a qualche semplice domanda. Ha senso avere una scuola regionale, suddividere per aree la Protezione civile, inventarsi una politica energetica che prescinda da tutto il resto?
Il secondo patto è invece relativo alla responsabilità politica. Chi sottoscrive l’accordo con lo Stato si impegna a dimettersi se, alla fine di un periodo concordato, non sarà in grado di dimostrare che l’efficienza regionale è stata superiore a quella statale. A queste condizioni l’autonomia regionale si trasformerebbe in una virtuosa gara a spendere meglio il denaro dei contribuenti assumendosi ogni responsabilità – politica e personale – per gli sprechi che equivalgono a una assistenza negata a chi ne ha veramente bisogno.
La realtà come sappiamo tutti è un po’ diversa. Se la Sanità in molte Regioni è sideralmente lontana dai livelli lombardi o emiliani, è assai improbabile che una revisione dei Lep sia poco costosa e sostenibile per la casse pubbliche. Il Servizio sanitario nazionale è già gestito, dalla riforma del 1978, dalle Regioni le quali non brillano tutte per efficienza. Molte amministrazioni regionali sono state, negli anni scorsi, commissariate per via di bilanci in forte perdita quando non falsi. Erano anche quelli, purtroppo, esempi negativi di autonomia differenziata.
La riforma – che ripetiamo senza soldi non esiste di fatto – unisce, quasi miracolosamente, l’opposizione. Si raccolgono facilmente le firme per una consultazione referendaria che sembra negare le ragioni di una riforma costituzionale, un quarto di secolo fa, voluta proprio dal centrosinistra. Avversata dall’opposizione di allora che oggi al governo ne richiama, curiosamente, l’osservanza. Difficile sarà, eventualmente, portare gli elettori al seggio e superare il quorum. Con il rischio, nel caso di un fallimento, di fare un regalo a una maggioranza peraltro divisa sull’argomento. Un cavallo di battaglia per la Lega, che governa le Regioni del Nord. Un calice amaro da digerire per Fratelli d’Italia e Forza Italia e per i loro perplessi governatori del Mezzogiorno.