ASSURDO CHE L’EUTANASIA TORNI DI MODA…

By Luciano Temperilli
Pubblicato il 1 Ottobre 2015

Mi chiamo Bruno e vorrei cortesemente il suo pensiero in merito all’eutanasia, un argomento che tra i nostri governanti sta tornado di moda… Si sa, i fautori della “dolce morte” sbandierano come giustificazione un estremo rimedio alla scomparsa della speranza e alla fine degli spasmi dolorosi di una lunga agonia. Ma come è pensabile cercare o procurare la morte? A mio avviso va solo accettata visto che è inevitabile. La condanna all’eutanasia deve essere netta, anche perché potrebbero aprirsi degli scenari allucinanti… Invece nel nostro paese, afflitto da ben altri problemi, i politici tornano a riproporlo come argomento vitale.

 Mi pare una questione ideologica. L’eutanasia vuole rappresentare quella svolta culturale in cui si guarda alla vita in modo laico e disincantato. La vita non è più sacra, non è un dono di Dio di cui bisogna rispondere. È un fatto che si vuol gestire a modo proprio. Per cui tutto è lecito tra adulti consenzienti a livello relazionale e la morte va pure essa gestita in modo pulito, assistito e legale. Tutto il resto pare che non interessi. È il trionfo dell’individualismo portato alle estreme conseguenze. Individualismo quando riguarda la propria morte o quando riguarda le persone che ci sono accanto. Uno cerca l’eutanasia, giornali di questi tempi, perché è depresso, perché rimane solo, perché non vuol essere un peso. Gli altri dicono che sia giusto così perché la vita va vissuta quando ha “qualità”, diversamente, di fronte a malattie gravemente invalidanti, è meglio lasciar perdere per sé e per gli altri. È il caso delle persone in coma, dei bambini! (cfr Olanda) con gravi patologie inguaribili. Insomma si vuol togliere di torno quelli che ci ricordano che la vita non è un continuo carnevale, un godi e consuma, uno sfrutta l’occasione. Non si vuol riconoscere né accettare il limite. Pubblicità, pseudo-notizie scientifiche, ci presentano la vita come una giovinezza perenne in cui tutto è rimediabile. C’è una pasticca per tutto… e se non funziona o si è sbagliato pasticca o ha sbagliato il medico! La sofferenza e la morte non entrano nel calcolo delle probabilità.

Sinceramente è un guaio questo modo di pensare invasivo che ci toglie il senso del limite, il senso della solidarietà, il senso della pietà e l’orizzonte trascendente della vita. L’uomo diventa una cosa, un prodotto, uno scarto. Questa fretta poi di legiferare diventa proprio un manipolare la coscienza sociale quando sempre più medici e scienziati dicono che non sappiamo cosa senta, e se senta, una persona in coma, quando le terapie del dolore diventano sempre più precise, quando si capisce sempre più che le persone non vanno lasciate sole ma vanno socialmente supportate. Certo tutto questo ha un costo di soldi, competenze, strutture, sostegno… allora meglio le scorciatoie!?

Anche questo problema secondo me, prima di essere una sfida culturale, è un voler ridurre l’uomo solo a una visione, come dire, salutista della vita. Sentire i racconti di chi ha assistito persone in coma o bambini oncologici ci presenta invece un’altra storia.

La vita è più grande e più bella anche della salute. Il fatto di vivere è già un miracolo. Invece di scoraggiare chi soffre offriamo momenti di affetto, di solidarietà, di bellezza e vedremo sorgere un sorriso anche dal più disperato. E quel sorriso ci dice che la vita è bella, nonostante tutto. Ma abbiamo “pazienza” di sostare accanto a queste persone o la frenesia della vita diventa la scusa per scartarle? Non vuol essere una domanda moralistica ma un interrogativo sull’aspetto strutturale del nostro vivere e della nostra società.

La risposta cristiana è vedere in queste persone, come dice papa Francesco, la “carne sofferente di Cristo”. Su questa base ci sarebbe tanto da riflettere e da operare perché riconosciamo “persona speciale” il sofferente. E questo, prima di essere fede, è semplicemente umanità.

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