“ASCOLTIAMO IL CIELO”

La natura, che ci ha donato Dio – afferma uno dei maggiori esperti dei temi energetici – è piena di energia, dalle forme più problematiche, come petrolio e gas, a quelle più pulite, come il sole. Ma quello che è più prezioso che ci arriva tutti i giorni dal cielo è la sapienza…”

La guerra, si sa, inevitabilmente si lascia dietro macerie, morte, dolore e naturalmente una profonda crisi economica. Un’emergenza che, nel mondo globalizzato, significa divisione e disuguaglianze, La tirannia del potere economico, infatti, soprattutto negli ultimi anni, ha lasciato indietro centinaia di milioni di persone. La forbice tra ricchi e poveri si è allargata sempre più: nel secolo scorso l’economia mondiale è cresciuta di dieci volte ma guarda caso, però, circa 1,2 miliardi di persone non hanno accesso all’elettricità, 900 milioni sono malnutriti e 800 milioni sono senza accesso all’acqua potabile. Con uno scenario del genere, dunque, l’uomo pensa bene anche di alimentare le guerre…

In queste ultime settimane, dopo l’attacco della Russia all’Ucraina, si è riproposto in maniera inquietante il problema energetico. L’aumento del prezzo del gas, secondo le stime degli esperti, dovrebbe dar vita a un costo extra di circa 55 miliardi di euro per il nostro Paese. I prezzi di luce, gas e carburanti sono schizzati causando non pochi problemi a famiglie e imprese. Le bollette pesano come non mai polverizzando risparmi e fatturati degli italiani. Questo perché il nostro Paese, nonostante i tanti buoni propositi ascoltati da decenni, non ha mai pensato di investire in scelte che garantissero un’autonomia energetica. “C’è qualcuno seduto all’ombra oggi perché qualcun altro ha piantato un albero molto tempo fa”. Come dar torto al filantropo ed economista di fama mondiale Warren Buffet? Non avendo allora il nostro Paese messo a dimora, negli anni addietro un numero sufficiente di alberi…, ci ritroviamo, oggi a essere energeticamente dipendenti. Ora, dunque, cosa ci aspetta? A quali scenari andiamo incontro? Quali alternative abbiamo? Su questi e altri interrogativi abbiamo chiesto di far luce, con la chiarezza e la competenza che lo contraddistinguono, al professor Davide Tabarelli, docente di Ingegneria civile, chimica e ambientale all’università di Bologna, nonché fondatore e presidente di Nomisma Energia, società di ricerca in campo energetico e ambientale. Una vera e propria autorità del settore. L’inseguimento è stato faticoso, ma alla fine tra i suoi tanti impegni con grande disponibilità e correttezza ha trovato spazio anche per noi.

Presidente Tabarelli, come si è complicata l’emergenza gas dopo lo scoppio della guerra in Ucraina?

Paradossalmente i flussi sono regolari, come mai lo sono stati negli ultimi 10 mesi in cui abbiamo sempre avuto paura che succedesse il peggio, che poi è arrivato. Nessuno per il momento ha il coraggio di interrompere i flussi di gas dalla Russia, che coprono il 40% dei consumi dell’Unione Europea. Ne per fare sanzioni economiche più dure da parte dell’Occidente, ne da parte della Russia per rispondere alla progressiva chiusura economica che sta subendo.

A suo avviso quali sarebbero gli interventi possibili e da mettere subito in campo per mitigare il problema delle forniture energetiche?

Siccome il rischio è di rimanere senza grandi volumi di gas, dal nostro principale fornitore, occorre prima di tutto cercare di ridurre i consumi, perché rischiamo di arrivare al prossimo inverno senza sufficienti scorte per il picco di domanda quando fa freddo. Allora dobbiamo cercare di spingere sull’uso del carbone nelle centrali elettriche che ancora abbiamo, una misura che ha già sollevato, però, l’ostilità da parte di molta politica, in particolare a livello locale. Poi, giustamente come sta facendo il nostro governo occorre andare a cercare nuove forniture, dall’Algeria, dalla Libia e cercare di produrre anche di più a livello nazionale. E poi occorre mettere in atto misure da subito per risparmiare nel riscaldamento e prevedere addirittura il razionamento in caso estremo.

L’Italia che percentuale di gas importa e da chi?

L’Italia importa il 96% del gas che consuma, circa 76 miliardi di metri cubi ogni anno, che contano sulla domanda totale di energia per il 35% e mettono questa fonte al primo posto, prima del petrolio e delle fonti rinnovabili. Dei 73 miliardi di metri cubi che importiamo il primo fornitore è la Russia, con 29 miliardi di metri cubi, seguita dall’Algeria con 20, poi seguono a distanza il Qatar, l’Azerbaijan, la Libia, l’Olanda, la Norvegia e gli Stati Uniti.

Riguardo alle scorte, invece, come siamo messi?

Per questo inverno, che chiude fra qualche giorno, stiamo messi bene, ne abbiamo in abbondanza, ma il problema sarà per quello prossimo, perché già dal primo aprile le importazioni dovrebbero servire per iniettare di nuovo volumi sotto terra, da utilizzare poi da ottobre quando torna a fare freddo. Se mancano le importazioni dalla Russia è un problema.

Parlare di nuove fonti di approvvigionamento che significa in termini pratici e realistici?

Nuovi fonti di approvvigionamento di gas significa diversificare su altri paesi, ad esempio facendo altri rigassificatori che possono ricevere navi da tutto il mondo cariche di gas liquefatto, come dall’Africa o dal Sud America, oltre che dai fornitori tradizionali, come il Qatar. Oppure si sta pensando di fare un nuovo gasdotto che ci colleghi con il Mediterraneo dell’Est dove si sono di recente scoperte grandissime riserve di gas.

Per quanti anni ancora, giusto per rendere l’idea, saremo gas-dipendenti dalla Russia che ogni anno ci consegna 29 miliardi di metri cubi?

Difficile domanda questa. Perché fino al 24 febbraio era impensabile rimanere senza l’energia della Russia, perché ha le più grandi riserve di gas al mondo, è il primo esportatore, ha la rete così altamente sviluppata sull’Europa. Ma da oggi in poi occorre cambiare registro e pensare di farne a meno.

Le dure sanzioni economiche imposte alla Russia dall’Europa e dall’America, che tipo di impatto potrebbero avere sullo scenario energetico?

Ci obbligano subito a considerare come ridurre i consumi di gas sul lungo termine, una cosa che le politiche ambientali ci annunciano da decenni, ma che non sono riuscite a fare. In ogni caso occorre insistere su nuove forniture di gas e spingere sulle rinnovabili. Occorre anche riconsiderare, forse, il nucleare.

A suo avviso l’Algeria, che siede su un oceano sconfinato di gas, potrebbe essere una soluzione?

Lo è già e probabilmente nell’immediato, prima del prossimo inverno, sarà la fonte che originerà i maggiori volumi addizionali. Dispiace che negli ultimi 30 anni non abbiano fatto tanti investimenti nello sviluppo di nuove riserve, perché l’attuale produzione si basa ancora su impianti realizzati su giacimenti datati. Occorre da subito che ripartano gli investimenti.

In questi giorni si è parlato anche del gas liquido che potrebbe arrivare dal Qatar o dall’America. Può essere considerata un’alternativa reale?

Anche qui lo è già, perché stiamo importando volumi addizionali dagli Stati Uniti per effetto degli alti prezzi che abbiamo in Europea e in Italia, mentre da loro sono molto bassi. Già prima di questa crisi drammatica il futuro dell’energia globale era previsto evolvere a favore di un maggiore utilizzo e commercio del gas liquefatto, con il Qatar come principale protagonista.

L’idroelettrico rappresenta la prima fonte rinnovabile italiana, accantonata però negli anni in favore di altre direzioni. Potrebbe essere utile incentivarla nuovamente?

Certo che sarebbe utile, ma il problema è che nessuno riesce più a fare nessun impianto di piccole dimensioni per i troppi veti a livello locale. O comunque qualcosa è ancora possibile. Inoltre, per le rinnovabili intermittenti i laghi artificiali potrebbero diventare forme di accumulo quando c’è molto sole e vento e produzione elettrica, da utilizzare per pompare verso l’alto l’acqua da lasciare cadere quando c’è più domanda elettrica.

Altra parola assai presente in questi giorni nel linguaggio politico è la rigassificazione. Di cosa stiamo parlando?

Di impianti che in passato non si sono riusciti a fare. Ne abbiamo solo tre, di cui due piccolini. Si riparla di uno nuovo a Porto Empedocle, di un altro a Brindisi, tutti impianti che hanno avuto un sacco di problemi in passato con le autorità locali e che non sono riusciti ad andare avanti.

E sul raddoppio del gasdotto Tap che possiamo dire?

È inevitabile il raddoppio, il problema è che ci metterà 4 anni e per allora dobbiamo trovare qualche altra alternativa.

Il ritorno al carbone come lo vede? Parliamo di una fonte altamente inquinante finita da tempo nel mirino di ambientalisti ed esperti di clima…

Il carbone è la fonte più importante, con circa il 40% del totale, nella produzione elettrica a livello globale e tutt’ora anche in Europa è molto importante, in Germania, in tutto l’Est Europeo, anche negli Stati Uniti e in Giappone. Noi abbiamo ridotto la nostra quota al 5%, ma adesso dovremmo farne uso, anche se solo momentaneamente.

La Francia ha recentemente annunciato la costruzione di sei nuovi reattori mentre la Germania lo sta abbandonando… Qual è il suo pensiero?

La prima fonte per la produzione di elettricità in Europa con il 25% è il nucleare, grazie soprattutto alle 56 centrali della Francia. Farne a meno è impossibile e anche la Germania ora sta facendo un po’ marcia indietro. Il nucleare è una tecnologia complessa, ma non emette CO2 e se vogliamo ridurre le emissioni di questo gas ne avremo bisogno.

Ha senso parlare di nucleare verde?

No, non ha senso. Il nucleare ha dei problemi che con la tecnica si possono affrontare, ma non eliminare, come tutte le attività dell’uomo. Ci sono stati dei miglioramenti e ce ne saranno altri, ma le scorie rimangono.

E della transizione verde che idea ha?

Che è un obiettivo ambizioso, difficilissimo, che forse arriverà solo nel lungo termine, che ovviamente è condivisibile. Nessuno può esser contro le fonti pulite, come il solare o l’eolico, ma queste sono fonti che danno un’energia dispersa e intermittente, non programmabile. Noi usiamo un altro tipo di energia che ci viene soprattutto dai fossili.

Lei ha criticato i tanti annunci, facili e ambiziosi, fatti sull’energia dalla politica negli ultimi vent’anni… La realtà, invece, a suo avviso cosa dice?

Che i fossili a livello globale, ma anche in Europa e in Italia, contano per la gran parte dei consumi energetici totali. Che è da 50 anni che proviamo a liberarci da questa dipendenza, ma i risultati sono stati piuttosto modesti.

Insomma presidente, i prezzi di elettricità e gas aumentano come anche quelli del petrolio e dei carburanti più utilizzati. Quale scenario ci aspetta, soprattutto guardando al prossimo inverno?

Sono talmente alti i prezzi che ogni previsione non può che essere al ribasso. Questo però lo dicevamo anche lo scorso agosto, ma la spirale crescente, purtroppo, non si è interrotta e le nostre previsioni si sono dimostrate errate. Prima o poi i prezzi scenderanno, il problema è quando.

In questo mese festeggiamo la risurrezione di nostro Signore che ha vinto il buio delle tenebre. Proviamo allora anche noi, presidente, a mandare un messaggio di speranza nonostante le tante difficoltà del momento…

La natura, che ci ha donato Dio, è piena di energia, dalle forme più problematiche, come petrolio e gas, a quelle più pulite, come il sole. Ma quello che è più prezioso che ci arriva tutti i giorni dal cielo è la sapienza, lo spirito, quello che ci permette di fare la tecnica e di affrontare i problemi e di costruirci sopra la pace.