ANCORA CRISI IN IRAK

IL SOGNO ISLAMICO DEL GRANDE CALIFFATO
By Angelo Paoluzi
Pubblicato il 4 Settembre 2014

DOPO IL RITIRO, A PARTIRE DAL 2011, DELLE TRUPPE DI OCCUPAZIONE IL PAESE È RICADUTO IN UNA SITUAZIONE DI DISORDINE  PERMANENTE, CON LA CLASSE DIRIGENTE CHE HA CONTRIBUITO ALLA CRESCITA DELL’OPPOSIZIONE, HA DOVUTO FARE IMPORTANTI CONCESSIONI TERRITORIALI E DI AUTONOMIA AL PRINCIPALE SOSTEGNO ORGANIZZATO, AI CURDI, SI È ALIENATA L’APPOGGIO DELLE TRIBÙ Nel mondo musulmano i sunniti sono la maggioranza, gli sciiti una consistente minoranza. Ma in Irak questi ultimi sono più numerosi e, emarginati durante il regime di Saddam Hussein, sunnita, hanno recuperato il potere dopo l’invasione americana e la sconfitta e morte del dittatore. Purtroppo, quel potere, i nuovi governanti non sembrano averlo usato in modo politicamente corretto alimentando il risentimento nelle regioni sunnite, nelle quali ha avuto facile gioco l’estremismo islamista. L’esplosiva situazione del Medioriente ha fatto il resto, riaccendendo il mito del Califfato storico dell’ottavo secolo, esteso dall’Asia centrale all’Africa mediterranea e sino alla Spagna, alla Francia del sud, alla Sicilia.

Come allora, si parla di conquista con le armi.  Così il 6 giugno scorso alcune migliaia di combattenti sunniti dello “stato islamico della Siria e del Levante” (Isis) si impadronivano di sorpresa della seconda città irakena, Mossul, ne cacciavano gli assai più numerosi soldati dell’esercito nazionale e, in pochissimi giorni, occupavano oltre la metà della parte nord del paese conquistando numerose altre città e posizioni strategiche – compresi pozzi di petrolio – praticamente senza trovare resistenza. Si sono ben guardati, in ogni caso, dall’attaccare il territorio del Kurdistan, difeso da ben altrimenti preparati guerrieri, fra i quali i celebri “peshmerga”. Da allora si registra la continuazione degli scontri, i governativi cercano di recuperare lo spazio perduto, un milione di civili sono in fuga e popolano i campi profughi.

Hanno fatto il giro del mondo le foto che fissano un plotone di miliziani incappucciati mentre si apprestano a giustiziare un gruppo di militari irakeni catturati, coricati a terra, e gli stessi ormai cadaveri. La fucilazione dei prigionieri è stata diffusa, con compiacimento, dagli stessi carnefici.

La situazione preoccupa tutti, e naturalmente l’intera comunità islamica, in particolare nelle sue componenti moderate. In primo luogo l’Irak rischia la frammentazione in tre tronconi, sunnita a nord, sciita a sud, curdo a nordest, se l’attuale premier, lo sciita Nouri al Maliki, non riesce a ricomporre a unità, come sembra non sia capace di fare, gli interessi comuni. Con il pericolo che il mito del Califfato acuisca i fanatismi e conduca, come sta avvenendo, a una serie di conflitti la cui onda d’urto coinvolga la Giordania e il Libano, poi la Turchia, e ancora la Russia e la Cina, con le loro combattive minoranze islamiche, e infine anche l’Europa con i suoi confini nel Mediterraneo.

Probabilmente sono un po’ esagerati gli allarmi sulla contaminazione terroristica “di ritorno” dei giovani islamici cittadini di paesi europei, indottrinati al culto della violenza religiosa e quindi seminatori di bombe e disposti all’immolazione personale. Anche perché la soluzione dei problemi nel Medioriente, in questo momento in modo particolare in Siria e Irak, va trovata con il dialogo fra le parti come la diplomazia internazionale va cercando di far capire ai belligeranti accecati dall’odio.

E sul terreno esistono realtà che i media, occupati a simulare scenari da arrivo dei barbari, non considerano. La concreta esistenza, per esempio, delle tribù, che era stata identificata e utilizzata (con qualche costo finanziario) da un militare attento come l’ex comandante in capo delle truppe americane prima in Irak e poi in Afghanistan, David Petraeus. I gruppi tribali, da lui coinvolti nella gestione delle tensioni, hanno contribuito non poco a una sorta di tregua che aveva permesso la lenta riemersione dell’Irak dal caos della guerra e dell’invasione. Ma l’attuale governo a direzione sciita, nonostante i consigli di protettori e amici, non ha praticato la via della “inclusione” – cioè una coalizione allargata a tutte le componenti del paese, compresi sunniti e curdi – e ha continuato ad amministrare il paese in modo autoritario.

La situazione attuale è figlia di quegli errori. Dopo il ritiro, a partire dal 2011, delle truppe di occupazione l’Irak è ricaduto in una situazione di disordine permanente, con la classe dirigente che ha contribuito alla crescita dell’opposizione, ha dovuto fare importanti concessioni territoriali e di autonomia al principale sostegno organizzato, ai curdi, si è alienata l’appoggio delle tribù. E queste sono l’ago della bilancia.

In uno dei più informati servizi giornalistici apparsi sulla stampa occidentale, la giornalista svedese Birgit Svensson ha intervistato per il settimanale tedesco Die Zeit l’emiro Ali Hatem al-Suleiman, capo della tribù Dulaim, che occupa il nordovest del paese, dove ha il controllo della frontiera con la Siria, e il portavoce della tribù Schammar, Sabah al-Schammar. La sua gente, che costeggia i Duleimi attorno a Mossul, conta cinque milioni di appartenenti, tre e mezzo dei quali in Irak, un milione e mezzo in Arabia Saudita, mezzo milione in Siria e un’appendice in Giordania. In maggioranza sono sunniti, ma vi appartengono cristiani, curdi e addirittura sciiti; ha anche eletto in parlamento cinque deputati.

Al-Suleiman e al-Schammar hanno raccontato la stessa storia: stanchi delle violenze subite, hanno raggiunto l’opposizione e favorito, con opportunismo machiavellico, le formazioni terroristiche dell’Isis e di al-Qaeda, permettendo che dilagassero nel nord sunnita del paese, senza toccare i loro territori. Al-Schammar riconosce che “questi predoni assassini, senza tradizioni, etica e morale ci danneggiano tutti” ma, dall’altra parte, la classe dirigente attorno a Nouar al-Maliki non è migliore e deve lasciare. Quando ciò sarà avvenuto, anche i fondamentalisti – promettono ambedue – se ne dovranno andare. Il Califfato resterà un sogno.

 

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