ANALFABETI FUNZIONALI
Questo l’identikit: hanno più di 55 anni, sono pochi istruiti e svolgono professioni non qualificate. Oppure: sono giovanissimi, stanno a casa dei genitori senza lavorare né studiare, o fanno parte di una famiglia nella cui casa ci sono meno di 25 libri
Se è vero che siamo il popolo che dà il meglio di sé nelle situazioni estreme, quando ormai non c’è più tempo e tutto sembra perduto, beh, questo è il mese giusto per metterci alla prova. Occorre fare un bilancio dell’attività che spesso, mentalmente, segue l’andamento del campionato di calcio, al suo ultimo fischio proprio in questo periodo (e non andando ai mondiali, possiamo rilassarci). Maggio è il mese del fermento del popolo scolastico, che con il suo “indotto” di genitori e professori, praticamente riguarda la quasi totalità degli italiani. Chi dovrà affrontare gli esami ha il problema dell’ammissione, gli altri devono cercare di mettere qualche pezza alle lacune per evitare di ripetere l’anno (un costume che sta quasi svanendo, e non per un aumento di bravura…). La politica in questo periodo sta cercando di capire cosa vorrà fare da grande. Insomma, prima di occuparci dell’estate, diamo corso ai buoni propositi: alcuni da realizzare nell’immediato, altri da tirare fuori dal cassetto quando l’abbronzatura comincerà a svanire. In entrambi i casi, ci sembra opportuno lanciare una sfida al popolo – non solo scolastico – e ai suoi rappresentanti: ridurre il più possibile l’analfabetismo funzionale. Già, perché sembra che siamo messi proprio male. Seppure nel nostro paese l’analfabetismo strutturale (cioè l’incapacità di leggere un testo semplice o riconoscere le cifre e fare semplici operazioni matematiche) sia del 5 per cento, quello funzionale si attesta sulla non invidiabile media del 28 per cento. E non ci consoli il fatto che siamo in compagnia di Israele e Spagna! Vediamo di cosa parliamo. A differenza del primo, l’analfabeta funzionale sa leggere, scrivere e far di conto, il problema è che non capisce quello che legge o, meglio, non ha gli strumenti analitici e critici per avvantaggiarsi di quello che legge, ascolta o apprende. Non è in grado di capire il libretto di istruzioni di un cellulare o non sa risalire a un numero di telefono contenuto in una pagina web se esso si trova in corrispondenza del link Contattaci Insomma non si tratta (solo) di leggere un manuale senza capirlo, ma di non avere gli strumenti adatti a formarsi un’idea propria e originale del mondo circostante e delle sue dinamiche. Si trova, cioè, in un’area che sta al di sotto del livello minimo di comprensione nella lettura o nell’ascolto di un testo di media difficoltà. Ha perduto la funzione del comprendere, e quasi sempre non se ne rende neppure conto.
L’Osservatorio Isfol (un ente di ricerca sulle dinamiche della formazione, delle politiche sociali e del lavoro), ha tracciato un identikit di questo soggetto: ha più di 55 anni, è poco istruito e svolge professioni non qualificate; oppure: è giovanissimo, sta a casa dei genitori senza lavorare né studiare, o fa parte di una famiglia nella cui casa ci sono meno di 25 libri.
Invece, uno studio recente del PIAAC (Programme for the International Assessment of Adult Competencies) – un programma ideato dall’Ocse, l’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico – si è preso la briga di analizzare 33 nazioni, tra cui la nostra: l’Italia si piazza al penultimo posto (davanti alla Grecia) in ambito europeo, con il 28 per cento di analfabeti funzionali (quella che sta meglio di tutti è la Finlandia, con l’11 per cento; gli altri paesi nordici viaggiano fra il 12 e il 15; al fondo: Indonesia, 69, Cile, 53, Turchia 47). Il lato positivo è che almeno su questo tragico aspetto, non ci sono differenze tra Nord e Sud.
La buonanima del linguista Tullio De Mauro, dopo aver incrociato tre studi differenti, giunse alla conclusione che più del 50 per cento degli italiani si informa (o non si informa), vota (o non vota), lavora (o non lavora), seguendo soltanto una capacità di analisi elementare: una capacità di analisi, quindi, che non solo sfugge le complessità, ma che anche davanti a un evento complesso (la crisi economica, le guerre, la politica nazionale o internazionale) è capace di una comprensione appena basilare. Sosteneva che “un testo scritto riguardante fatti collettivi, di rilievo anche nella vita quotidiana, è oltre la portata delle loro capacità di lettura e scrittura, un grafico con qualche percentuale è un’icona incomprensibile”. Solo il 20 per cento della popolazione adulta italiana è in grado di usare la lingua italiana come strumento che fornisca “gli strumenti minimi indispensabili di lettura, scrittura e calcolo necessari per orientarsi in una società contemporanea”.
Un’altra buonanima, Umberto Eco, sosteneva che “i social media danno diritto di parola a legioni di imbecilli che prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività. Venivano subito messi a tacere, mentre ora hanno lo stesso diritto di parola di un Premio Nobel. È invasione degli imbecilli”. Concordiamo in toto. Un’invasione che si sta allargando a macchia d’olio, non lasciando fuori neppure gli insegnanti (dei giornalisti, poi…). Il Messaggero Veneto ci informa che tra gli aspiranti insegnanti dell’infanzia in Friuli Venezia Giulia, gli ammessi al concorso sono stati meno di 700: ben 3 su 4 non ce l’hanno fatta a causa di errori marchiani che ne hanno decretato la bocciatura allo scritto (tra i più ricorrenti: la mancanza della lettera “h” nel verbo avere, il pessimo uso della punteggiatura, doppie che saltano, cattivo utilizzo del congiuntivo e un linguaggio social inadatto alla circostanza, come Xcheé, xke e via cantando). Nel resto d’Italia non è che le cose siano andate meglio: solo il 30% degli aspiranti maestri ha passato gli scritti e ha ottenuto l’accesso all’orale. Otto aspiranti maestri su 10 sono stati bocciati nel Lazio; in Veneto ammessi all’orale 1.604 su 3.410 concorrenti alle cattedre d’insegnamento. In Emilia Romagna promosso il 16,5 dei partecipanti.
Di chi è la colpa? Boh? Di tutti, quindi di nessuno. Crediamo che sia giunto il momento di non cercare responsabili, solo per il gusto di scagionarci. Occorre trovare qualcuno che sia capace di predisporre un piano organico per respingere questa invasione. Più che del boia, c’è bisogno di un condottiero. Forza, allora, presto che è tardi: il tempo sta finendo!