ALTRO CHE DANTE E MICHELANGELO…

non ci piace studiare e lo stato non investe
By Antonio Andreucci
Pubblicato il 1 Giugno 2013

I dati Eurosat assegnano all’Italia la maglia nera sul fronte dell’istruzione e della cultura. La nostra percentuale di laureati, rispetto a quanti si iscrivono all’università o a corsi di istruzione equivalenti, è la più bassa d’Europa
Siamo il paese di Dante, Michelangelo, Leonardo e tanti altri cervelli sopraffini, che hanno fatto la storia dell’umanità; il paese in cui al parcheggio, al bar e in ogni dove sentiamo ad alta voce la parola “dottore”. Cultura, innovazione e formazione dovrebbero essere il nostro pane quotidiano, il mezzo per poter uscire dalla crisi, invece siamo al palo, mestamente in coda a tutte le classifiche europee. Ancora una volta i dati Eurosat indicano che l’Italia indossa la maglia nera sul fronte dell’istruzione e della cultura. Non ci piace stare sui banchi per imparare e, cosa ancora peggiore, si fa poco per invogliarci a farlo. Gli ultimi rilevamenti dicono che il 17 per cento degli studenti ha abbandonato la scuola secondaria; peggio di noi stanno Spagna (24,9%), Malta (22,6) e Portogallo (20,8) mentre la media europea è del 12,8% e l’obiettivo comunitario è di scendere al 10% entro il 2020.
Invece, siamo il fanalino di coda in Europa per percentuale di spesa pubblica destinata alla cultura: appena l’1,1%, a fronte del 2,2% dell’Unione Europea a 27 nazioni, e al penultimo posto (seguiti solo dalla Grecia) per percentuale di spesa in istruzione (l’8,5% contro il 10,9% della Ue). Ma se si guarda solo alla cultura, allora ci scavalca anche la Grecia che dedica l’1,2% del suo Pil a questo settore, nel quale investono molto di più Germania (1,8%), Francia (2,5%) e Regno Unito (2,1%). Analizzando la percentuale rispetto al Pil, l’Istat evidenzia come la spesa sia diminuita, passando dal 4,4% del 2010 al 4,2% nel 2011, mentre quella per la cultura si è quasi dimezzata (dallo 0,8% del 2010 allo 0,5%).

Stiamo messi veramente male se si considera che siamo superati anche dalla Romania, considerata la cenerentola della Ue. In un paese come il nostro, che vive ancora nel mito del cosiddetto “pezzo di carta”, la percentuale di laureati rispetto a quanti si iscrivono all’università, o a corsi di istruzione equivalenti, è la più bassa d’Europa: solo il 21,7 per cento completa il corso di studi universitari entro i 34 anni. E la figura degli asini la fanno i maschietti: appena il 17,2% di loro riesce ad arrivare alla laurea, contro il 26,3% delle donne.

La nostra situazione è molto lontana non solo dalla media generale, ma anche da quella degli altri singoli paesi. Non ci piace studiare: in Francia abbandonano la scuola 11,6 studenti su cento; in Germania 10,5 e in Gran Bretagna 13,5. Il confronto diventa ancora più drammatico quando si parla di università: alle nostre percentuali modeste si contrappongono quelle della Gran Bre-tagna (il 47,1% degli iscritti arriva a discutere la tesi), della Francia (43,6%) e della Germania (31,9%).

Con queste cifre c’è poco da stare allegri: “I dati – afferma Giovanni Puglisi, vicepresidente della Conferenza dei rettori degli atenei italiani e a sua volta rettore della Iulm di Milano – sono la conseguenza logica di un disinvestimeno del sistema dell’alta formazione, della cultura e della ricerca, nella pianificazione italiana”. È certamente vero, però è bene non abbattersi troppo, come invita a fare Androulla Vassiliou, un’ottimista signora greca che ricopre il ruolo di commissario europeo per l’educazione e la cultura: rispetto al 2010 la media degli abbandoni scolastici è diminuita (dal 14 al 12,8%) e quella italiana è scesa sotto la soglia del 18% (era al 18,8). Un calo che – secondo la commissaria – indica come i giovani siano determinati a sfruttare tutto il loro potenziale in un futuro nel quale i lavori richiederanno più qualificazione. Già, ad avercelo un lavoro.

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