Le fratture interne al Pd che si sono manifestate nel corso del tentativo (sconcertante) di Bersani di dare vita a un governo di minoranza; con i disastri delle candidature di Marini e di Prodi al quirinale, e per la mal digerita (da una parte del partito) rielezione di Napolitano, in quanto condizionata alla formazione di un governo “politico” Pd, Pdl e Scelta Civica, pongono interrogativi sul futuro del partito; e dunque sulla tenuta e sulla capacità operativa del governo. Alla origine della nevrosi che squassa il Pd credo che vi sia l’angoscia di non riuscire più a dialogare e a rappresentare la tradizionale sinistra “di classe”, né la nuova sinistra (essenzialmente individualista) dei “diritti civili”, molto presente tra i 5 Stelle e nel Sel di Vendola.
L’ultima manifestazione della nevrosi (accompagnata da un tentativo in parte riuscito, più o meno inconscio, di vincerla) credo che sia stata la elezione a segretario del partito di Guglielmo Epifani in vista del congresso di ottobre, avvenuta dopo l’ennesimo, caotico scontro tra le sue correnti. Già segretario generale della Cgil infatti, per settori importanti del Pd Epifani potrebbe favorire una ripresa e riqualificazione dei rapporti con la “sinistra di classe”. E per altri settori, invece, la sua passata militanza nel Psi (tradizionalmente sensibile alla questione dei “diritti civili”) potrebbe consentire al Pd rapporti costruttivi con le molte “nuove sinistre” che ai “diritti civili” fanno costante riferimento, anche se il più delle volte in modo demagogico o confuso. Dopo la sua elezione Epifani ha assicurato pieno sostegno al governo, perché lo ritiene il solo possibile nella situazione data. Letta ha detto di considerare l’elezione e questo impegno di Epifani “buone notizie per il governo”. Altrettanto importante per il presidente del Consiglio è stata, nello stesso giorno della elezione del nuovo segretario del Pd, la ribadita volontà di Berlusconi di continuare a sostenere con decisione il governo da leader del Pdl, anche se la decisione della Cassazione sul processo per evasioni fiscali di Mediaset lo costringesse a lasciare il parlamento. Berlusconi ha aggiunto che lo farebbe per senso di responsabilità verso il paese, ed è possibile. Ma credo che lo farebbe anche perché certo che una rapida caduta del governo Letta potrebbe portare, come prima conseguenza, non alle elezioni anticipate ma alle dimissioni di Napolitano; con molte probabilità che a sostituirlo potrebbero essere Prodi o Rodotà, con intuibili conseguenze per lui e per il Pdl.
Con la nevrosi del Pd almeno in parte sedata e per l’atteggiamento di Berlusconi, Letta è ora obbligato a mettere rapidamente a punto (con chiarezza di obiettivi, cifre e scadenze) misure che possano: a) Dare risposte alla crisi sociale ed economica creata dalla disoccupazione, soprattutto favorendo la ripresa e la qualificazione produttiva delle imprese; b) Ridurre la (ormai insostenibile) pressione fiscale sulle famiglie e sulle imprese, ma senza ridurre le risorse necessarie al funzionamento dei servizi sociali, della scuola, della ricerca e alla realizzazione del programma di grandi opere pubbliche; c) Nell’ambito delle proprie competenze istituzionali, favorire un profondo rinnovamento della politica. A cominciare, per esempio, dal chiedere alla maggioranza una immediata riforma della legge elettorale, presentando un decreto che sospenda la legge in vigore sul finanziamento pubblico ai partiti, e un disegno di legge per l’abolizione di tutte le province.
Un’altra buona notizia per Letta, infine, è che il Movimento 5 Stelle ha cominciato a incartarsi tra le sue demagogie e le sue contraddizioni, ciò che ne riduce la forza di pressione negativa nella società e in parlamento. È un fatto però che aumenta anche la responsabilità dei partiti che sostengono il governo. Speriamo che anche di questo fatto ne facciano buon uso.