La ripresa, l’inevitabile e arciprevista ripresa del calcio italiano, è attesa subito dopo il passaggio delle calure estive, quando ci si augura che gli insegnamenti appresi sul campo in Norvegia, e con lo striminzito successo sulla Moldova abbiano lasciato qualche seppur flebile traccia di miglioria. L’Italia del calcio ha vinto molto, negli anni e in giro per il mondo: ma non sempre da queste vittorie ha saputo crescere. O riemergere. Ora è tempo di dare una scossa, ai trionfi trascorsi essendo imprescindibile far seguire altre vittorie, mediante l’ausilio di un nuovo e impegnativo percorso di crescita, umana, sociale, tecnica. E valga l’esempio, citato anche da papa Leone XIV nell’incontro con il Napoli fresco del suo secondo scudetto in tre anni: “Vincere il campionato è un traguardo che si raggiunge al termine di un lungo percorso, dove ciò che conta di più non è l’exploit di una volta, o la prestazione straordinaria di un campione. Il campionato lo vince la squadra, e quando dico squadra intendo sia i giocatori, sia l’allenatore con tutto il team, sia la società sportiva”, ha detto il santo padre agli azzurri di De Laurentiis. “Sono contento di accogliervi adesso, per mettere in risalto questo aspetto del vostro successo, che ritengo il più importante. E direi che lo è anche dal punto di vista sociale. Sappiamo quanto il calcio sia popolare in Italia e nel mondo e allora, anche sotto questo profilo, mi sembra che il valore sociale di un avvenimento come questo, che supera il fatto meramente tecnico-sportivo, è l’esempio di una squadra – in senso lato – che lavora insieme, in cui i talenti dei singoli sono messi al servizio dell’insieme”.
Che forse, a questa Italia calcistica, sembra mancare, il particolare avendo la priorità sul generale, l’interesse del singolo club dominando rispetto al sistema nel suo insieme. Come è sembrato essere nel caso della possibile sostituzione di Spalletti con Ranieri, rimasto poi a coltivare l’orticello romanista dei Friedkin.