ABRUZZO DEL GUSTO UNA COPPA DI BONTÀ

By Gloria Danesi
Pubblicato il 30 Dicembre 2013

Stiamo parlando di un insaccato speciale la cui ricetta più diffusa prevede l’utilizzo di un pentolone dove vengono messi a bollire, per tre-quattro ore, gli scarti della macellazione e lavorazione del suino: muso, lingua, orecchie, cotenne e tendini   Ningua, ningua se vu nenguà, so ’cciso lu porco e so fatto lu pà (nevichi pure, se vuole nevicare, tanto ho ucciso il maiale e ho fatto il pane). Questo vecchio detto riassume le preoccupazioni dell’uomo di quella società agropastorale dell’Abruzzo interno che ha avuto termine nell’ultimo dopoguerra, in continua lotta contro l’asprezza dell’ambiente e i crampi della fame. C’è una scena drammatica che si ripeteva, sempre uguale a ogni inizio d’anno e in ogni casa rurale, e che oggi qui e là viene ancora perpetuata: urli strazianti bucano un silenzio ancestrale e che hanno fine solo dopo che copiosi schizzi di sangue fumanti macchiano la candida neve. All’ultimo respiro della vittima sacrificale fa da pendant il sospiro di sollievo del carnefice, che giustifica la sua cruenta azione rituale con un mors tua vita mea, non intriso di cinismo ma di tanta gratitudine. A monte di questo epilogo: un anno di convivenza stretta, di amorevoli cure da parte dell’intera famiglia contadina nei confronti del proprio maiale, di cui “nulla viene gettato”.

Ne è riprova la squisita coppa di testa, uno speciale insaccato cotto tipico dell’intera regione ma anche del centro Italia (Umbria, Marche, Emilia Romagna). Due le versioni, quella abruzzese tradizionale e quella della provincia di Teramo. La ricetta più diffusa prevede l’utilizzo di un pentolone dove vengono messi a bollire, per tre-quattro ore, gli scarti della macellazione e lavorazione del suino, muso, lingua, orecchie, cotenne e tendini. Si schiuma ed elimina il grasso con l’utilizzo di un colino a maglie strette; a brodo freddo si scolano le parti tenere solide (carne, tendini e nervi) che, separate e ridotte in piccoli pezzi, vengono insaporite con un fine trito di aglio, peperoncino, pepe, sale, noce moscata o cannella, buccia di arancia o limone, pinoli e sedano. A questo punto, nel brodo purificato caldo, si pongono le parti tenere e il tutto finisce in un tondo budello (trombone di vitello) del diametro di 10-12 cm, in modo che le diverse parti – con il raffreddamento del brodo – siano pressate bene e tenute unite dalla gelatina. Una buona coppa si presenta con un profumo delicato ma speziato, omogenea e di colore rosato. Va consumata fresca (non più di due settimane) in ragione dell’assenza di conservanti oltre al sale, e si gusta meglio se la fetta non è troppo sottile.

Il maiale, nell’iconografia, è un attributo di sant’Antonio abate e non a caso il culto a questo santo eremita è molto diffuso in Abruzzo e in particolare nelle zone rurali e di montagna. Venerato come protettore della salute degli animali e di quella degli umani. Il 17 gennaio è la sua festa nella cultura contadina e apre l’anno agricolo. A Fara Filiorum Petri (Ch) si bruciano dinanzi la chiesa dedicata al santo egiziano le farchie, gigantesche fascine di canne. Fiamme abbaglianti, clima di allegria e ospitalità, cibi della tradizione, canti e musica del folklore.

A Scanno (Aq), un tempo fiorente centro armentizio, si festeggia sant’Antonio il barone. La leggenda “de lo beatissimo egregio missere li barone sancto Antonio” è un interessantissimo documento dell’antica poesia volgare abruzzese. Terminata la santa messa vengono servite sagne e ricotta da consumarsi con devozione. Ad Atri (Te) si svolge un’antica festa: gruppi di giovani girano per case e masserie cantando “Lu Sand’Antonie”, se-gue una rappresentazione in cui compare il diavolo che tenta invano il santo. A Collelongo (Aq) i festeggiamenti, oltre a preghiere e canti, prevedono un piatto prelibato: la minestra di cicerocchi, un cibo rituale costituito da granturco bollito. A Villavalle-longa (Aq), per l’occasione, si pratica un consumo collettivo di cibo le panarde. Banchetto rituale composto da un numero elevato di portate (più di cinquanta), alla generosità di chi offre (il Panardere) il commensale deve rispondere obbligatoriamente consumando tutte le vivande così come prevede l’etichetta. La “grande abbuffata” ha inizio solo dopo la recita del rosario e l’orazione di sant’Antonio. Gli alimenti fissi sono: brodo di gallina e vitello, caldaio del lesso, maccheroni carrati all’uovo con ragù di carne di pecora, pecora alla cottora, fave lesse, frittelle, ferratelle, panetta e frutta. Buon sant’Antonio (il barone) a tutti dalla terra nobile d’Abruzzo.

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