VERA O FINTA LA SFIDA CHE VIENE DALLA COREA DEL NORD?

By Angelo Paoluzi
Pubblicato il 30 Settembre 2017

I mercati sono in fermento, la gente cerca i cosiddetti beni rifugio, l’opinione pubblica è spaventata. Da dieci anni sale in crescendo il pericolo di una guerra atomica da una estrema propaggine del mondo, la Corea del Nord, un regime dittatoriale di matrice comunista, 24 milioni di abitanti, da 63 anni in armistizio (ma la pace non è stata mai ratificata) con la Corea del Sud, 50 milioni di abitanti, a tradizione democratica. Dal 2006 i dirigenti nordcoreani hanno sviluppato, a scapito del benessere della popolazione, le ricerche per la fabbricazione e il lancio delle testate atomiche, raggiungendo cinque o dieci volte (fra i 50 e i 100 kilotoni) il potenziale delle bombe scoppiate nel 1945 sulle città giapponesi di Hiroshima e Nagasaki, e con la capacità di inviarle su precisi obiettivi. Il dittatore Kim Jong-un (terzo erede di una dinastia familiare di tiranni) minaccia di olocausto nucleare gli Stati Uniti e i suoi alleati asiatici, in particolare Corea del Sud e Giappone, spedendo per ora i missili nel Pacifico e indicando come primo possibile obiettivo la base americana dell’isola di Guam. Naturalmente tutto ciò suscita irritate e grevi reazioni da parte di Washington, ma anche inquietudine da parte della diplomazia internazionale che, attraverso le Nazioni Unite, approva severe risoluzioni di condanna per i ripetuti lanci, che fra l’altro violano gli spazi aerei nazionali.

Anche la Cina, tradizionale “protettrice” di Pyongyang, non ne apprezza le esibizioni missilistiche e, per la prima volta, ha aderito a una serie di sanzioni che colpiscono i traffici nordcoreani. Tuttavia Pechino ha avvertito (insieme con Mosca) di essere contraria in modo assoluto a misure militari e sollecita soluzioni diplomatiche per un abbassamento della tensione: in effetti qualche timore è alimentato da massicce manovre congiunte aereo-navali fra americani e sudcoreani, nonché da voli dimostrativi di bombardieri Usa ai confini della Corea del Nord. È opinione diffusa (e anche una generale speranza),  al di là dagli allarmi e dalle reazioni emotive, che Kim Jong-un si arresti prima di un qualsiasi atto fatale. Nessuno ignora che l’apparato militare americano è in grado di reagire in modo devastante a eventuali attacchi, anche se ci si chiede dove possa portare una escalation del genere. Dobbiamo comunque attenderci ulteriori violenze verbali da una parte e dall’altra, se ragioni di buonsenso (che sembrano attualmente mancare) non suggeriranno soluzioni da prendere attorno a un tavolo, secondo la buona norma che se si parla non si spara. In ogni caso l’intera vicenda potrebbe avere rilevanti conseguenze internazionali. La principale sarebbe un rafforzamento mondiale del ruolo della Cina, sia che riesca a ridurre i nordcoreani a più miti ragioni ma garantendo loro qualche risultato (per esempio l’ingresso ufficiale nel club delle potenze nucleari, nonostante la contrarietà americana), sia che venga costretta dalle circostanze a forzare (magari con qualche massiccio spiegamento di forze militari ai confini) la dittatura a più eque soluzioni, compresa l’uscita di scena di Kim Jong-un. E anche qui bisogna chiedersi a quale prezzo, vista l’imprevedibilità del personaggio.

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