UN’INTERVISTA RIPETUTA PER PAURA

UN FATTO LONTANO
By Luigi Braccili
Pubblicato il 1 Aprile 2014

L’INTERVISTATO ERA NIENTEMENO CHE GENCO RUSSO IL “MAMMASANTISSIMA” DELLA MAFIA SICILIANA CHE SOGGIORNAVA A NOTARESCO Fu un regalo che volle farmi il direttore del quotidiano: “ti lancerà”, mi disse. Andai allora a Caporipe, una frazione fuori Notaresco e quando entrai nella sua camera da pranzo, lo vidi in camicia immacolata con le bretelle nere mentre, con l’indice massiccio, redarguiva l’operaio del telefono perché la comunicazione non arrivava dalla terra siciliana. Dopo aver massacrato la manovella dell’apparecchio, riuscì a farlo funzionare. E quello che avvenne quando riuscì a parlare al telefono mi atterrì.

“Morto sei… Se non fai quello che ti dico ritieniti cadavere”, e ancora “Scegliti la bara…”. Atterrito, mentre una bretella schizzava fuori dal suo petto, guadagnai in silenzio l’uscita e scappai. Due giorni dopo un telegramma del direttore mi intimava: “O intervisti Genco, o cambi mestiere”. Trovai colui che chiamavano “malapianta mafiosa” più sereno, più disteso. Erano scomparse le odiose bretelle e aveva la cravatta. Tornava dalla chiesa dove aveva ascoltato la messa, nella parrocchiale alle 7.30, come tutte le mattine. Mi offrì un bicchierino pieno di un liquore dolcissimo, un infuso di zibibbo che bevvi lentamente perché definirlo imbevibile è poca cosa…

Il colloquio, lungo e lento, durò più di un’ora, ancorché cordiale e la tematica non poteva essere che Notaresco, in particolare la sua storia risorgimentale. De Vincenti, Lisciani, Martemucci, Mazzoni, Romualdi: li elencò come se fosse una squadra di calcio, e si esaltò nel parlare di quella Notaresco che l’aveva contestato all’arrivo, ma che ora lo amava come in vero “tareschino”,  uno di loro, appunto, diceva.

Quando arrivò vi furono contestazioni perché si sosteneva che la risorgimentale Notaresco non poteva ospitare il “re della mafia sicula” come egli stesso la definiva. Alla sua partenza furono proprio i contestatori a piangere e i brindisi, non con il dolciastro zibibbo, ma con il nostro vino Montepulciano asciugarono le lacrime. I cincin furono tanti e tutti diretti nientemeno che al “re della mafia”.

 

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