UN CONFLITTO DURATO QUARANT’ANNI

SI CONCLUDE NELLE FILIPPINESI
By Angelo Paoluzi
Pubblicato il 1 Maggio 2014

I cattolici ce l’hanno messa tutta, a ogni livello, per riportare la pace nelle Filippine dopo quarant’anni di guerra civile e circa centocinquantamila vittime. Il presidente Benigno Aquino III ha avallato la conclusione delle trattative, dopo diciassette anni di aperture e chiusure, di speranze e fallimenti; la chiesa ha fatto la sua parte con l’arcivescovo di Cotabato nell’isola di Mindanao, monsignor Orlando Quevedo, strenuo sostenitore dell’accordo di convivenza fra cristiani e musulmani; la Comunità di Sant’Egidio (ormai celebre come intermediaria di intese, per esempio in Mozambico) si è incaricata di trovare gli appoggi internazionali, in questo caso dell’Indonesia; persino papa Francesco ha offerto il suo contributo dando lo scorso marzo a monsignor Orlando il cardinalato come tangibile segno di fiducia nella pace.

Questa che viene dalle Filippine è una delle poche buone notizie che, oggi, arrivano da tutti i fronti di combattimento del mondo, fra conflitti palesi e scontri che non vogliono dire il loro nome di guerre; ed è la ragione per la quale ci sembra necessario attribuirle uno spazio più adeguato di quello che in genere le è stato concesso dai media. Perché è preludio alla fine di stragi e di attentati, di odi diffusi e di difficili convivenze etniche e religiose. Un paese di cento milioni di abitanti, l’unico in Asia con una maggioranza dell’ottanta per cento di cattolici, ha finalmente risolto con mezzi pacifici una situazione che rischiava di contaminare anche le nazioni vicine. Non a caso la Malaysia e l’Indonesia – popolate quasi totalmente da maomettani – hanno ritenuto opportuno ritagliarsi un ruolo di co-intermediari, anche per non alimentare alle loro porte il terrorismo di radice islamista.

Così per cinque milioni di filippini musulmani si è previsto uno statuto di autonomia nella parte meridionale del paese, su un territorio che copre un decimo dell’arcipelago. L’accordo, da perfezionare entro il 2016, è stato approvato dal presidente Aquino e dal leader del sino ad allora ribelle “Moro” (Fronte islamico di liberazione), Murad Ibrahim, con l’avallo del premier malese Najib Razac e l’indiretta benedizione della Muhammadiyah, una delle grandi organizzazioni che raccolgono i musulmani in Indonesia.

Bisogna ora sperare che tutte le parti in causa mantengano gli impegni. Il parlamento di Manila dovrà quanto prima approvare la creazione della regione autonoma del Bangsamoro (la “nazione musulmana”) e poi procedere a un referendum per l’approvazione popolare. Si prevedono una assemblea elettiva e una amministrazione locali, con ampi poteri sull’economia, sul fisco, sull’istruzione e sulla polizia, mentre difesa, politica estera, cittadinanza e poteri valutari (cioè il diritto di battere moneta) resteranno prerogativa del governo centrale.

Ora l’intesa dovrà resistere all’assalto di minoranze alle quali l’autonomia non sembra bastare perché vogliono la piena indipendenza e l’instaurazione della legge coranica. Si tratta di gruppuscoli riconducibili ad Al Qaeda, alcune centinaia di combattenti irriducibili e ben armati (oltre che finanziati dall’esterno), in grado di produrre ancora danni. Perché non nuocciano è prevista la collaborazione militare fra il governo e il Fronte islamico; ma si conta anche sul sostegno popolare e l’isolamento dei ribelli. E che la gente fosse stanca della guerra e di tanto sangue versato è stato dimostrato dalle manifestazioni di gioia di migliaia di musulmani nelle città più toccate in passato dal terrorismo e dalla reazione violenta del potere. I filippini si augurano si tratti veramente, come è stato scritto, di una “nuova alba”.

 

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