SULLE ORME DI UN GENIO

80 anni fa la sparizione di Ettore Majorana
By Gino Consorti
Pubblicato il 1 Maggio 2018

Nella notte tra il 27 e il 28 marzo 1938 si perdono le tracce del fisico siciliano paragonato dal premio Nobel Enrico Fermi a Galileo e Newton. Un vero e proprio giallo che lascia ancora in sospeso qualche interrogativo… Ne parliamo con Giuseppe Borello autore, insieme ad altri due giornalisti d’inchiesta, di un vero scoop internazionale

Un giallo avvincente. Un reportage originale dove attualità, storia e inchieste giudiziarie s’intrecciano dando vita a una storia assolutamente appassionante e carica di mistero. A firmarlo sono Giuseppe Borello, Lorenzo Giroffi e Andrea Sceresini – in rigoroso ordine alfabetico – tre validi professionisti testimoni delle suggestioni un giornalismo romantico. Per capirci parliamo del giornalismo d’inchiesta, quello d’un tempo, fatto di ricerca, testardaggine, rete di contatti, attenzione ai particolari che si mostrano insignificanti, fiuto. E naturalmente tanta passione. In questa vicenda il “trio d’assalto” rappresenta una ricercata “mano d’opera” che necessita, però, di una materia prima di assoluto livello da cui tirare fuori un’opera rilevante. Ed ecco, allora, Ettore Majorana, materia pregiatissima, una delle figure più geniali della storia italiana. Del fisico catanese, infatti, il premio Nobel Enrico Fermi ne parlava in modo entusiasta, paragonandolo alla statura di Galileo e Newton.

Un genio in fasce, potremmo dire, visto che sin da piccolo le sue doti non passarono inosservate nella Catania e nell’Italia del primo novecento. All’età di 17 anni, infatti, in anticipo su quanto contemplato dal disciplinare scolastico, prese il diploma di maturità classica presso il temuto e prestigioso Liceo Torquato Tasso di Roma. Quindi gli studi a Ingegneria e successivamente il “salto” alla facoltà di Fisica, contrassegnato dall’incontro con i cosiddetti “ragazzi di via Panisperna”. Parliamo del gruppo di fisici italiani che, presso il Regio istituto dell’università di Roma, collaborò insieme a Enrico Fermi alla scoperta che aprì le porte alla realizzazione del primo reattore nucleare sperimentale. Poi, e arriviamo a quello che può essere definito senza dubbio uno dei più grandi misteri del secolo scorso, la scomparsa dell’enfant prodige siciliano avvenuta nella notte tra il 27 e il 28 marzo 1938. Quella sera Majorana acquistò un biglietto di ritorno per Napoli ma non c’è alcuna certezza sulla sua presenza a bordo del piroscafo in partenza da Palermo…

Un caso che negli anni ha stimolato l’attenzione e la fantasia di varie categorie: giornalisti, scrittori, investigatori, magistrati e naturalmente una vasta schiera di lettori. Alcuni giorni dopo la sua sparizione la Domenica del Corriere uscì con questo annuncio: “Ettore Majorana, ordinario di Fisica teorica all’università di Napoli, è misteriosamente scomparso dagli ultimi di marzo. Di anni 31, alto metri 1,70, snello, con capelli neri, occhi scuri, una lunga cicatrice sul dorso di una mano. Chi ne sapesse qualcosa è pregato di scrivere…”. Naturalmente, come da copione, a riempire la cronaca fu la girandola di ipotesi, tesi e ricostruzioni dove trovarono spazio, ahinoi, anche numerose fake news… In tanti parlarono di suicidio, altri di collaborazione con il Terzo Reich fino ad arrivare a un fantomatico ritiro, sotto mentite spoglie, in un convento…

Ecco, allora, e torniamo ai nostri giorni, che i tre reporter decidono di imbarcarsi su un aereo diretto in Sud America. E i sorprendenti risultati di quella minuziosa e impegnativa ricerca li hanno raccontati nel volume La seconda vita di Majorana (Chiarelettere, pp.186, euro 16.90). Un vero e proprio scoop internazionale arricchito da un prezioso inserto fotografico e documentario, in parte inedito.

A 80 anni dalla scomparsa del genio siciliano abbiamo chiesto a uno degli autori, Giuseppe Borello, di raccontarci dei tanti veli caduti in una vicenda più che mai intrigante. Un passato alla Deutsche Bank prima di dedicarsi full time al giornalismo d’inchiesta. Nel 2013 ha vinto la borsa Giuseppe D’Avanzo per il giornalismo d’inchiesta mentre dal 2014 Borello è inviato della trasmissione televisiva di La7 Servizio Pubblico.

Giuseppe, chi era Ettore Majorana?

È difficile inquadrare uno dei personaggi più importanti del 900. Per molti era un genio, per altri la più grande promessa della fisica italiana. A me piace definirlo un rivoluzionario. Un giovane siciliano con il dono di vedere nei numeri il nostro futuro, un enorme potenziale in grado di cambiare il mondo nel bene ma anche nel male. Sicuramente Majorana lo sapeva e perciò una sera di marzo ha deciso di scomparire, forse proprio per evitare che la sua scienza venisse stravolta dai totalitarismi degli anni 30.

È vero che Enrico Fermi lo aveva paragonato al genio di Galileo e Newton?

Esatto. Enrico Fermi riesce in poche righe a fare uno spaccato della fisica e ad assegnare il giusto posto a Ettore Majorana. La sua citazione merita di essere riportata per intero: “Al mondo ci sono varie categorie di scienziati; gente di secondo e terzo rango, che fan del loro meglio ma non vanno molto lontano. C’è anche gente di primo rango, che arriva a scoperte di grande importanza, fondamentali per lo sviluppo della scienza. Ma poi ci sono i geni, come Galileo e Newton. Ebbene, Ettore Majorana era uno di questi.” Enrico Fermi è un punto di riferimento della fisica italiana e nel 1928 era il professore di Majorana. I due sviluppano un rapporto molto professionale fatto di stima e contrasti. Già in quegli anni Fermi capisce che ha davanti un talento in grado di porsi con lui alla pari.

Qual è il fiore all’occhiello della sua attività di fisico?

La carriera di Majorana, purtroppo molto breve, è costellata da grandissime intuizioni ed elaborati da premio Nobel. Scriveva molto, ma conservava ben poco e quando lo faceva lo riponeva nei cassetti. Doveva essere quasi forzato a pubblicare. Un atteggiamento di chi ha un rapporto intimo con la fisica e la matematica, quasi a non volerla svenderla al pubblico. Tra le sue opere mi piace ricordare un suo studio oggetto di sperimentazione, ma che lui teorizzò già il secolo scorso: il fermione di Majorana. Una particella che ha in sé anche la sua antiparticella. Il neutrino potrebbe essere una particella di Majorana. È priva di carica elettrica, con una massa estremamente piccola ed è capace di viaggiare nell’universo attraversando interi pianeti. L’esperimento Gerda condotto nel Laboratorio nazionale del Gran Sasso (Infn Lngs), ha l’obiettivo di dimostrarlo. I risvolti pratici a questa scoperta potrebbero rivoluzionare la potenza di calcolo dei computer.

Perché gli era stato affibbiato il soprannome di grande inquisitore?

Ogni ragazzo di via Panisperna aveva un soprannome, compreso lo stesso Enrico Fermi che era conosciuto come “il papa”. Invece “Il grande inquisitore” di Majorana era dovuto al suo atteggiamento molto critico verso la ricerca. Ogni cosa doveva essere messa in discussione e ogni ipotesi verificata.

Cosa vi ha spinti a intraprendere un viaggio così tortuoso e con tante difficoltà annunciate a distanza di 80 anni dalla sua scomparsa?

Tutto è nato nella primavera del 2015. I giornali pubblicavano sulle prime pagine che Ettore Majorana era vivo in Venezuela tra il 55 e il 58, a dirlo era la procura di Roma che grazie a un supertestimone era riuscita a rintracciarlo in Sud America. Insieme ai colleghi Andrea Sceresini e Lorenzo Giroffi abbiamo bussato alla porta del procuratore che aveva condotto le indagini, Pierfilippo Laviani, ed esaminato il fascicolo. Tra quelle pagine si è aperto un mondo: nomi da portare alla luce, luoghi ancora da identificare, nuovi collegamenti da verificare. È sembrato sufficiente per lanciarsi in quest’avventura.

Quanto è durata la vostra ricerca?

La ricerca che ha portato al libro e al documentario su Rai Storia è durata 9 mesi. Oggi però continua con la verifica di nuove fonti.

Il rimpianto e la soddisfazione più grandi?

Il rimpianto è quello di non essere ancora riusciti a trovare un lascito di Ettore Majorana, un appunto, un quaderno, un qualcosa da sottoporre agli studiosi e che potrebbe cambiare il mondo. La soddisfazione quella di aver fatto luce su uno dei più grandi misteri italiani, tracciando con rigore giornalistico gli anni di Majorana in Venezuela.

La “Majoranologia”, così come la chiamate nel libro, è ricca di storie, tra cui quella del suicidio. Il titolo del vostro reportage, però, lo esclude senza alcun dubbio…

Il suicidio non è in linea con le scoperte fatte durante il nostro viaggio in Sud America e con la personalità descritta da chi conosceva bene Ettore Majorana. Per quanto riguarda il nostro lavoro abbiamo potuto verificare che il fisico era vivo nel 1955 e in Venezuela aveva rapporti professionali e di amicizia con alcuni connazionali emigrati. La stessa magistratura di Roma arriva a una verità giuridica archiviando definitivamente il caso: Majorana non si era suicidato o rapito, si era allontanato volontariamente.

In tutti questi anni qual è stata la strada più battuta?

Con il tempo si è fantasticato molto sulla storia di Majorana, trasformandola in leggenda. Una tra tutte lo vede collaboratore dei nazisti durante la seconda guerra mondiale. Un’ipotesi che non ha prove.

E quella più fantasiosa?

Sicuramente il raggio della morte. Un’invenzione segreta, sviluppata sulle teorie di Majorana, capace di distruggere la materia sprigionando un’enorme quantità di energia. Anche questa nessuno l’ha mai vista in azione.

Invece qual è la cosiddetta prova regina nella ricostruzione?

Una fotografia che ritrae il supertestimone, Francesco Fasani, in compagnia di Ettore Majorana, che in Venezuela si faceva chiamare Bini. La foto rappresenta la prova principe della presenza dello scienziato italiano in Venezuela. I carabinieri del Ris hanno analizzato lo scatto e hanno stabilito una perfetta sovrapponibilità tra la fronte, il naso, gli zigomi, il mento e le orecchie di Bini a quelli del padre di Majorana. La foto fu scattata nei pressi di plaza Bolívar a Valencia.

Della scomparsa del grande fisico italiano si sono occupati in tanti, tra cui Mussolini, lo scrittore siciliano Leonardo Sciascia, il regista Gianni Amelio, l’allora procuratore di Marsala Paolo Borsellino… Con quali risultati?

Le indagini condotte dalla polizia fascista non portarono a nulla di concreto e successivamente con l’entrata in guerra dell’Italia l’attenzione allo scomparso per eccellenza scemò. Mentre per Leonardo Sciascia il suo libro La scomparsa di Majorana esalta il mistero arrivando ad alimentarlo con l’idea del fisico nascosto in un convento nelle Serre vibonesi. Gianni Amelio rende in video quello che era la particolare personalità di Ettore Majorana, il suo rapporto con i compagni di via Panisperna e infine la grande rivalità con Fermi. Infine Paolo Borsellino si ritrova a districare una leggenda che prendeva sempre più piede in Sicilia: Majorana clochard. Si trattava di uno scambio di persona.

In base a quanto ricostruito, cosa scattò nella mente di Ettore Majorana la sera del 25 marzo?

Non abbiamo elementi per dirlo con certezza. Majorana non ha mai lasciato un documento a riguardo. Ci piace seguire la linea di Salvatore Majorana. Lo zio Ettore era in grado di leggere la storia del suo tempo e di interpretare i fenomeni naturali che lo circondavano. In un mondo prossimo alla guerra totale aveva deciso di sottrarsi.

Le lettere e il telegramma indirizzati ai famigliari e al professor Carelli, suo collega all’università di Napoli, dovevano servire a far credere alla strada del suicidio?

Siamo sempre nel campo delle ipotesi dato che non conosciamo con certezza il pensiero di Ettore Majorana. Quindi è plausibile che rientravano in un piano ben congeniato.

Chi e cosa hanno certificato, invece, la presenza di Majorana in Argentina negli anni quaranta?

Sulla pista argentina il punto di riferimento è Erasmo Recami. Il professore ha intrapreso una fitta corrispondenza con chi ha avvistato o poteva aver avuto contatti con Majorana a Buenos Aires. Ne esce uno spaccato credibile, ricco di fonti e compatibile sul piano temporale con la pista venezuelana.

Perché la scelta dell’Argentina?

Una terra dove era facile emigrare, scelta da molti italiani e soprattutto perché le autorità argentine facevano poche domande. Se volevi iniziare una nuova vita in un nuovo mondo, l’Argentina era il paese perfetto.

E di cosa si sarebbe occupato in quel periodo?

Stando alle testimonianze raccolte da Erasmo Recami, Majorana era in contatto con le personalità di spicco di Buenos Aires. Frequentava il salotto delle sorelle Cometta – Manzoni e non si allontanò mai dalla matematica.

Successivamente, però, nei primi anni cinquanta, acquisendo una nuova identità, il “signor Bini”, si sarebbe trasferito in Venezuela, precisamente nella città di Valencia. Perché?

Nei primi anni 50, in seguito all’aggravarsi della situazione politica in Argentina, Majorana decide di trasferirsi in Venezuela, nella città di Valencia. Si procura documenti falsi e si fa chiamare “signor Bini”. Frequenta alcuni emigranti italiani, ma in generale – a differenza di quanto fatto in Argentina – tende a tenersi piuttosto alla larga dai connazionali. Continua a occuparsi di questioni ingegneristiche, collaborando ad alcuni progetti governativi.

Tale Senior C nel vostro racconto rappresenta una miniera preziosissima e affidabile di informazioni. Potremmo sapere qualcosa in più sulla sua identità e sul suo ruolo?

Carlo Venturi vive a casa dei Cuzzi, una famiglia molto importante nella Valencia degli anni 50. Viene considerato un parente. È benestante, tanto da non dover lavorare. Ma sono i suoi modi eleganti a tradire un passato importante, un passato che Carlo custodisce gelosamente. Si sa che proviene dall’Argentina, dove ha lasciato la moglie. Il giorno del primo incontro con Fasani, dopo aver riconosciuto Majorana, rivelerà al giovane un altro particolare importante. Lui e il fisico sarebbero fuggiti insieme dall’Argentina di Peron, dove la situazione politica era sempre più instabile.

Nel 2015 la Procura di Roma decreta l’archiviazione del fascicolo Majo-rana. Un provvedimento che avrebbe dovuto scoraggiare la vostra idea. Invece…

Invece nei verbali sono citati nomi e luoghi, tutti nella città di Valencia, come molte altre informazioni parziali. Per rintracciarli, gli inquirenti chiedono aiuto delle autorità venezuelane, ma le indagini si arenano perché Caracas non collabora. L’unico modo per andare a fondo era prendere un biglietto aereo per il Venezuela e verificare di persona.

Cosa avete messo in campo di diverso rispetto alla Procura?

Grazie a una nostra fonte, il Senior C, siamo riusciti a consultare il database dell’anagrafe venezuelana. Così abbiamo ricostruito tutta la rete professionale e di amicizie di Majorana. Intrecci che portano al primo reattore nucleare del Sud America.

Durante il vostro soggiorno in Sud America vi siete imbattuti in situazioni pericolose?

All’uscita dall’anagrafe generale di Valencia siamo rimasti coinvolti in una sparatoria. Una banda di ladri aveva assaltato una concessionaria di motociclette e per evitare di farsi inseguire hanno iniziato a sparare all’impazzata. Durante i primi colpi siamo rimasti pietrificati, solo dopo abbiamo realizzato e ci siamo lanciati a terra.

Come a volte avviene in alcuni gialli, anche nel vostro reportage compare un riferimento al Vaticano… La santa sede si sarebbe mobilitata per salvare la vita a Majorana e a un suo amico…

23 gennaio 1958: un golpe militare rovescia il regime di Marcos Pérez Jiménez. Per sfuggire alle persecuzioni Francesco Fasani si rifugia con Majorana nel convento dei cappuccini di plaza Sucre, Valencia. Fasani fu aiutato direttamente dalle autorità del Vaticano grazie all’intercessione di un suo parente con il vicario di sua santità Petrus Canisius Jean van Lierde. Riuscì a tornare avventurosamente in Italia travestito da frate, da quel momento perderà i contatti con Majorana.

Sempre a Caracas, nel 1956 il professor Humberto Fernandez Moran costruisce il primo reattore nucleare dell’intera America Latina. C’entra qualcosa con la scelta di Majorana di trasferirsi lì?

I familiari di Leonardo Cuzzi, un tecnico molto vicino a Majorana in Venezuela, ricordano che tra i due c’era un rapporto professionale. Rapporti che si estendevano anche a progetti governativi. È la carta d’identità di Leonardo Cuzzi a parlare, rilasciata nell’area dove stava sorgendo il primo reattore dell’America Latina. Ecco il collegamento.

Nella prefazione del vostro libro il pronipote di Ettore Majorana, Salvatore, parla di un grande mistero ancora intatto: eventuali appunti di suo zio lasciati in qualche luogo. Dove magari trovarci risposte alle tante domande della scienza rimaste aperte…

È l’obiettivo che ci siamo posti. Oltre il mistero e le domande ancora aperte, un rinvenimento di documenti potrebbe aprire un filone scientifico inedito.

Il fatto di non aver trovata alcuna traccia nei cimiteri rende credibile l’ipotesi che Majorana fosse in possesso di una terza identità?

Abbiamo verificato anche i registri dell’anagrafe generale. Dalle ricerche che abbiamo eseguito non risultano Bini compatibili con la figura di Ettore Majorana. Quindi il fisico si registrò all’ufficio immigrazione con un nome diverso da Bini. Non è esclusa l’ipotesi che utilizzasse documenti falsi non registrati.

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