RISCHIO CARESTIA PER 130 MILIONI

By Angelo Paoluzi
Pubblicato il 30 Aprile 2017

 

Il paradosso e lo scandalo stanno in una semplice costatazione: al mondo si producono molti più alimenti di quanti se ne consumino e tuttavia almeno 130 milioni di persone (oltre il due per cento della popolazione mondiale) non hanno di che nutrirsi a sufficienza e almeno per 20 milioni di loro si prevede che dal prossimo giugno morranno letteralmente di fame. La carestia, la più grave dall’inizio del 2000, colpisce in particolare i paesi della fascia del Sahel, quella cioè che si estende dall’Oceano Atlantico al Mar Rosso, e la parte meridionale del continente a nord del Sudafrica. Il Segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, parla della “più importante crisi umanitaria dopo il secondo conflitto mondiale”.

Dei 37 paesi a rischio carestia, 28 dei quali in Africa, quattro sono toccati in modo preoccupante: Sud Sudan, Somalia, Nigeria e Yemen. Diciassette milioni di persone vi sono seriamente minacciate dalla fame e dalla siccità; 5,5 milioni nel solo Sud Sudan, il 50 per cento della popolazione, 6,2 milioni in Somalia, dei quali cinquantamila, a partire dall’inizio dell’estate, rischiano la vita, 2,7 milioni in Kenya. Per aiutarli sono necessari 20 miliardi di euro, che i donatori non riescono a raccogliere perché le richieste sono raddoppiate in dieci anni (e si aggiungono i tagli previsti dall’amministrazione Trump).

L’ex presidente di Medici senza frontiere, Rony Brauman, è categorico: “Morire di fame oggi è morire delle conseguenze della guerra”. Il premio Nobel per l’economia Amartya Sen costata: “La carestia appare solo in paesi senza democrazia”. E possiamo aggiungere tutte le altre manifestazioni di criminalità comune che accompagnano di solito lo scoppio della povertà sociale. Anche se è vero che il fenomeno è drasticamente diminuito da un secolo a questa parte, tuttavia guerre civili, presenza di gruppi terroristici, interventi stranieri sono le condizioni che lo favoriscono e alimentano. E ben presto si dovrà purtroppo aggiungere alla lista anche la Siria, nella quale il conflitto in corso da cinque anni sta provocando la desertificazione delle campagne.

Ha ragione papa Francesco nel deplorare la violenza scatenata dalla guerra e condannare il commercio delle armi, causa principale, e forse determinante, di molteplici sofferenze sociali e individuali. La spesa mondiale per il riarmo raggiunge i 1700 miliardi di dollari, quasi il 2,5 per cento del prodotto lordo globale: 85 volte la cifra che aiuterebbe gente che muore di fame. A favore della quale, peraltro, si prodiga una legione di volontari, da tutte le organizzazioni missionarie della Chiesa e delle confessioni protestanti a Medici senza frontiere, a Emergency, alla Croce Rossa e alla Mezzaluna Rossa, per citarne soltanto alcune: in qualche caso sino allo spargimento di sangue, specialmente là dove il terrorismo impedisce e contrasta l’intervento umanitario, come in Somalia e in Nigeria. E difficilmente si troveranno rimedi se non interverrà un collettivo, e poco sperabile, esame di coscienza.

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