RICOSTRUIRE, MA DOVE E COME?

interrogativi post sisma sul futuro dei borghi
By redazione Eco
Pubblicato il 20 Marzo 2018

Dopo l’emergenza legata ad una prima sistemazione dei senza tetto a seguito del terremoto che nel 2016 ha colpito l’Italia centrale, ora si comincia a parlare di ricostruzione sebbene a partire da quella pubblica. In un seminario svoltosi ad Ancona il vice-commissario per il sisma, Luca Ceriscioli, ha delegato ai comuni e alle province lo svolgimento delle procedure di gara come “stazioni appaltanti” e la conseguente realizzazione di tutti gli interventi necessari alla ricostruzione, alla riparazione e al ripristino degli edifici pubblici danneggiati: palazzi comunali, scuole, chiese, cimiteri, fino agli impianti sciistici di Monte Prata. Gli interventi riguardano anche i beni del patrimonio artistico e culturale.

Più complessa si prospetta la ricostruzione dei beni immobili dei privati perché questa non è solo una scelta urbanistica ed architettonica, ma riguarda soprattutto la memoria dei paesi, la possibilità di mantenere la rete di relazioni e di legami che li costituisce, la capacità di reinventare l’identità. E poi, dove e come ricostruire ? Scegliere non sarà facile perché, come dice l’architetto Sandro Polci, “ricostruire tutto com’era e dov’era è un’idea ingannevole”. Il tecnico ne parla diffusamente nel libro I Borghi Avvenire, visioni possibili per nuove economie nelle cui pagine si evidenza che la presenza di elevati terremoti in determinate zone può a volte sconsigliare la riedificazione nelle stesse rispetto ad altre o paesi contigui a minor rischio. Gettare, inoltre, le fondamenta per dare vita a nuovi agglomerati abitativi, non può non tenere conto di quello che gli stessi, nell’arco di 10-15 anni, tempo presumibile di durata per la riedificazione, potranno contare in materia di residenti, di occupazione e di sviluppo.

“In questo arco di tempo – rileva Ponci – nei comuni del cratere (più di 584 mila abitanti) si calcola che avremo il 15% di morti di vecchiaia e circa il 37% di over 65 con prospettive di esigenze funzionali e di servizio diverse da quelle attuali, mentre la popolazione giovane avrà maturato abitudini nuove in altri luoghi, che forse difficilmente abbandonerà. Bisogna, pertanto, investire tutto su elementi credibili di futuro”. Facile dire che la ricostruzione è necessaria per riorganizzare la comunità tradizionale, ma, guardando con occhio lungo, non è escluso che questa possa anche essere l’origine di divisioni e conflitti che segneranno la vita sociale, religiosa, urbanistica e culturale dei nuovi paesi. Di qui la necessità di scelte oculate e meditate che non arrechino ulteriori stravolgimenti rispetto a quelli che il terremoto si è portati dietro. Fare presto si, ma soprattutto bene. È opportuno, quindi, conoscere il numero dei nuclei familiari che resteranno realmente nel territorio o vorranno venire a insediarsi, quali imprese con piani di sviluppo credibili (agricoli, turistici, manifatturieri, start-up) intenderanno operare nei vari luoghi. Perché – ci si chiede – sono sufficienti

la sola attività agricola e le stalle composte da 15.300 aziende (96% a gestione familiare) a offrire linfa per la vita futura ? “Ridare l’identità di un tempo alle nostre comunità – ha detto il presidente della Regione, Luca Ceriscioli – significa riportare la vita in montagna portando, oltre le case, investimenti per la crescita, per le infrastrutture e tutto quello che servirà per rilanciare un territorio”.

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