PICCOLA MA ALTEZZOSA…

ABRUZZO DEL GUSTO
By Gloria Danesi
Pubblicato il 4 Luglio 2014

Ricerche scientifiche hanno evidenziato che il genoma della lenticchia di Santo Stefano di Sessanio (AQ) è differente da quello di altri legumi similari. Dalle favorevoli condizioni pedo-climatiche derivano elevate proprietà nutrizionali (notevole la quantità di ferro) e organolettiche. Inoltre è piccola e permeabile, non necessita di ammollo e cuoce rapidamente in soli 20 minuti  Bellezza e bontà d’alta quota, ovvero lo splendore di un gioiello medievale e il sapore di un minuscolo legume. Un connubio esaltante di forma e sostanza: Santo Stefano di Sessanio e la sua lenticchia. Tanto piccola quanto squisita dal diametro di circa 4 millimetri, globosa, dal colore marrone-violaceo, viene coltivata alle pendici del Gran Sasso all’interno dell’omonimo parco nazionale in piccoli appezzamenti tra i 1.100 e 1.600 metri di altezza (le migliori quelle cresciute a 1.200 metri). La sua rusticità ha trovato qui un habitat ideale: inverni lunghi e particolarmente rigidi, primavere corte e fresche, terreni calcarei e poveri.

Le coltivazioni di legumi, e in particolare della lenticchia, in questi luoghi sono riportate in documenti monastici medievali come il Chronicon vulturnense. La semina avviene alla fine di marzo mentre la raccolta tra la fine di luglio e quella di agosto. La maturazione è scalare e dipende dall’altitudine del campo. La pratica agronomica prevede la rotazione con maggese-cereali (orzo e farro) al fine di ottenere buoni raccolti sia sotto l’aspetto qualitativo che quantitativo. La lenticchia non necessita di alcun intervento chimico in quanto l’altitudine impedisce lo sviluppo dei parassiti che attaccano le leguminose. La raccolta è un’operazione particolarmente impegnativa in quanto svolta manualmente perché la mietitrebbia è poco utilizzabile dato che i terreni, generalmente, sono siti in zone impervie e anche perché questo tipo di pianta si sviluppa poco al di sopra del terreno e quindi, con la raccolta meccanizzata, si andrebbe a perdere fino al 40% del prodotto. Ricerche scientifiche hanno evidenziato che il genoma di questa lenticchia è differente da quello di altri legumi similari. Dalle favorevoli condizioni pedo-climatiche derivano elevate proprietà nutrizionali (notevole la quantità di ferro) e organolettiche, piccola e permeabile non necessita di ammollo e cuoce rapidamente in soli 20 minuti. Viene utilizzata come contorno in diverse ricette ma offre il meglio di sé in minestra. La produzione non è elevata ed è circoscritta ai comuni limitrofi; in passato, a causa di una forte richiesta, sono state immesse sul mercato “false” lenticchie di Santo Stefano a discapito di produttori e consumatori. Per la tutela di entrambi è stato istituito un presidio Slow Food con l’intento anche di valorizzare e incentivare una maggiore produzione. Ogni anno nei primi giorni di settembre si svolge la Sagra della lenticchia dove si possono degustare piatti tipici a base di lenticchie: zuppa con quadratini di pane fritto in olio di oliva, con le patate o con le salsicce.

Santo Stefano di Sessanio è un borgo mediceo tra i più belli d’Italia con qualche centinaio di abitanti stabili. è caratterizzato da stupende case in pietra con bifore e loggiati e gode, inoltre, di un panorama suggestivo: la catena del Gran Sasso da un lato e le valli del Tirino e del Pescara dall’altro. Di notevole interesse la chiesa di Santo Stefano, il santuario della Madonna delle Grazie e la trecentesca torre cilindrica. A pochi chilometri da qui, sulla strada che conduce a Campo Imperatore (denominato il “piccolo Tibet”), ci viene incontro la bella Calascio con il suo castello che, pur parzialmente diruto, mantiene il suo fascino e la contigua chiesa ottagonale di Santa Maria della Pietà. Quindi si arriva a Castel del Monte, capitale appenninica della transumanza, con i suoi fantastici formaggi: pecorino canestrato (presidio Slow-Food) e marcetto (cacio con vermi saltarelli). Nelle “terre della baronia”, così il parco ha denominato questa zona, l’ambiente è caratterizzato da vaste praterie e steppe ricche di rarità sia faunistiche che floristiche. Sono presenti, inoltre, antichi paesaggi rurali come campi aperti e mandorleti nonché piccole valli coltivate. Nell’incantevole scenario naturale è incastonato in modo discreto il lavoro dell’uomo con campi in altura spietrati e terrazzati per la coltivazione di varietà territoriali come la lenticchia, la cicerchia e lo zafferano, stazzi per gli ovini che fruiscono da millenni di sterminati e incontaminati pascoli, ove si producono carni pregiate e latticini insuperabili.

Umile e altezzosa un ossimoro possibile per la lenticchia di Santo Stefano.

 

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