PARLIAMONE…

come guarire dalla balbuzie?
By Gino Consorti
Pubblicato il 1 Novembre 2016

Il segreto – afferma Marco Santilli, stimato docente universitario e responsabile del più grande centro italiano che si occupa di rieducazione al linguaggio e di ricerca scientifica nel settore – sta nella terapia di gruppo. Quella singola, infatti, non funziona perché non fai entrare in ansia il bambino e quindi non lavori nel territorio del disturbo. I risultati? Sorprendenti”.

L’Organizzazione Mondiale della Sanità la classifica come un disturbo specifico dello sviluppo, un di-sordine del ritmo della parola nel quale il paziente sa con precisione cosa vorrebbe dire ma nello stesso tempo non riesce a dire. Stiamo parlando della balbuzie, conosciuta anche come tartagliamento, un disturbo che interessa circa l’1% della popolazione mondiale senza distinzione di razza o cultura. Tra le sue manifestazioni principali troviamo le ripetizioni di suoni o sillabe, prolungamenti di suoni, interruzioni di parole, blocchi udibili o silenti, sostituzione di parole e parole emesse con eccessiva tensione fisica. Per quanto invece concerne i disagi conseguenti i livelli interessati sono quello psicosomatico, affettivo, sociale, lavorativo o scolastico, comportamentale e fa-miliare. Insomma, un disturbo del comportamento psicomotorio dalle tante facce che addirittura, come vedremo più avanti, preclude anche l’accesso a determinati lavori. La storia è piena di balbuzienti illustri, da Aristotele ad Albert Einstein, da Alessandro Manzoni a Napoleone, anche perché, dicono gli esperti, chi ne soffre ha solitamente una marcia in più nell’arte o nella matematica, oltre a una spiccata sensibilità. A pagare il dazio più alto è dunque la vita sociale e siccome il disordine si manifesta già nell’età dell’infanzia diventa importante conoscere e individuare precocemente i sintomi per affrontarli terapeuticamente. In considerazione anche dell’inevitabile impatto traumatico che la scuola riserverà a un bambino balbuziente. Ma la balbuzie, e arriviamo alle buone notizie, è possibile metterla nell’album dei ricordi, magari tra quelli meno felici, ma sicuramente è possibile tornare ad avere una “nuova parola”. E Marco Santilli ha voluto chiamarla proprio così, La Nuova Parola, il più grande centro italiano che grazie una équipe altamente professionale si occupa dell’eliminazione della balbuzie. Responsabile e fondatore del centro nonché presidente dell’omonima associazione, il dottor Santilli è anche un brillante pedagogista e uno stimato docente dell’università di Chieti dove insegna Processi comunicativi e culturali. Inoltre è l’ideatore della vincente metodologia pedagogica della motricità e delle relazioni verbali. Da oltre venticinque anni svolge corsi in tutta Europa, scrive libri e svolge formazione nelle scuole con l’obiettivo di trasmettere una visione multidimensionale della capacità d’insegnamento rispetto ai saperi e alla costruzione di un essere umano autonomo e maturo. Cos’altro aggiungere? Nel suo campo è una vera e propria autorità, come d’altra parte testimoniano i numerosi risultati positivi portati a casa ogni anno dalle 23 sedi distribuite in tutto il territorio italiano. Lui stesso, tempo fa, si è messo alle spalle definitivamente quel “dolore emotivo”.

Intercettarlo nel suo continuo tour tra università, scuole, corsi e convegni non è stata impresa facile, alla fine però la costanza ci ha premiati. Prima di ascoltarlo, però, segnaliamo ai lettori, sempre in queste pagine, la testimonianza della senatrice Laura Bottici, questore del Senato e personaggio di spicco del Movimento 5 Stelle. Ci racconterà il suo rapporto con la balbuzie soprattutto alla luce della sua rilevante attività politica e sociale.

Dottor Santilli, come definire correttamente la balbuzie?

È un sintomo antichissimo, praticamente nasciamo un po’ tutti con la balbuzie, poi, intorno agli otto anni, interessa circa l’8% per arrivare infine all’1%. è un’asimmetria della motricità verbale all’interno del mondo emotivo. Una persona che balbetta sa benissimo cosa vuole dire ma non ci riesce perché le aree delle emotività coinvolgono troppo una motricità che è asimmetrica e quindi va fuori tempo. Ecco perché, ad esempio, chi balbetta riesce a cantare benissimo e dimostra che quando il cervello sente il tempo della musica o qualunque altro tipo di battito riesce ad avere una simmetria tra l’emotività e il tempo. Spesso si tratta di una ragione neurobiologica innata, poi ovviamente ci sono le fondamenta epigenetiche, cioè l’ambiente: il rapporto con i genitori, le dinamiche familiari (ad esempio un papà troppo severo, troppo freddo e lontano dall’emotività del bambino). Insomma, un mondo che genera stress nel sistema nervoso.

Quindi attualmente la genesi del problema non è stata ancora chiarita…

Assolutamente no, l’eziologia è ancora ignota. Le ricerche sono avanzatissime e quelle di tipo genetico, ad esempio, indicano un rapporto di ereditarietà visto che il 75% dei balbuzienti ha familiari e parenti anche lontani che balbettano. E in questa direzione la probabilità di avere un figlio che balbetta è sei volte più alta se almeno un genitore balbetta. Ad oggi, però, il meccanismo di trasmissione resta sconosciuto.

A che età si manifesta solitamente la balbuzie?

L’insorgenza è visibile nella prima infanzia, precisamente l’85% dei bambini colpiti dalla balbuzie si colloca tra i 18 e i 42 mesi. Di solito parliamo di bambini molto precoci con un’attività intellettiva molto alta. Alcuni tratti tipici del balbuziente, infatti, sono l’intelligenza e la sensibilità intuitiva. Altri casi, invece, tratteggiano bambini un po’ lenti, parlatori tardivi.

È vero che l’impatto con la scuola spesso viene vissuto in modo drammatico?

Purtroppo è così e avviene ogni volta che si passa da una dimensione scolastica all’altra. Fino a sei anni il bambino balbuziente è quasi inconsapevole del problema, quindi né lui e né la famiglia gli danno molto peso. Una volta a scuola, però, il mondo competitivo e la non sempre perfetta conoscenza delle tante dinamiche possono peggiorare la situazione in quanto il bambino entra in una situazione di difficoltà nei rapporti con gli altri. Tale difficoltà, dunque, alza un tipo di emotività e di stress che a loro volta incidono in negativo sulla disfluenza. Il 70% dei bambini, dicono le cifre, ha acquisito la consapevolezza della propria balbuzie proprio con l’inizio del periodo scolastico e nel 30% dei casi la balbuzie è scoppiata all’ingresso nella scuola materna ed elementare.

Ma la scuola è pronta a ricevere e gestire alunni con questo tipo di disagio?

Diciamo che in qualche modo si sta attrezzando, anche perché il ruolo dell’insegnante all’interno di un progetto e di un percorso di recupero dell’autostima della persona e della sua disabilità è determinante. Soprattutto perché parliamo del periodo più complesso di sviluppo della personalità di un essere umano.

Ad esempio cosa non dovrebbe mai fare un insegnante?

Sicuramente il bambino non va messo in un angolo, in “panchina” per capirci… altrimenti si alimenterebbero episodi di derisione e bullismo che oggi rappresentano un problema enorme. Andrebbe invece costantemente interpellato per desensibilizzarlo e quindi gratificato spesso.

Ci sono specialisti che si occupano di queste problematiche?

Diciamo che il logopedista è quello che se ne occupa in maniera classica, però ci sono altre figure che trattano in maniera particolare di tutti gli aspetti della balbuzie.

È vero che la balbuzie è motivo di mancata idoneità in diversi concorsi pubblici?

Sì, soprattutto nelle forze armate. Nel nostro centro sono passati tanti figli di generali e graduati vari alle prese con questo problema. In questa direzione ci sono tanti paletti, se lo psicologo che cura il colloquio avverte una forma di disfluenza dà parere negativo e ti manda a casa. È un peccato, anche perché come dicevo prima chi balbetta ha molte doti tra cui la sensibilità e il carattere. Molto spesso, infatti, sbagliando, si associa un carattere debole o problematico alla disfluenza. Conosco professionisti di altissimo livello nei vari settori della società.

Come nasce l’idea di aprire un centro specialistico per l’eliminazione della balbuzie?

Parte da lontano in quanto anch’io ho avuto questo tipo di problema che negli anni, però, ho risolto brillantemente. Ho costruito tutta la mia carriera, come molti, lavorando e studiando. Oggi il nostro è il centro più grande d’Italia contro la balbuzie, abbiamo 23 sedi sul territorio nazionale e forse presto ne apriremo anche una all’estero. Insegno all’università, scrivo libri ma soprattutto faccio tantissima formazione nelle scuole pubbliche e private. Fino a oggi ho avuto circa dodicimila allievi.

Nel suo caso quando si è affacciato il disturbo?

Avevo 13 anni.

E come lo ha risolto?

Attraverso una relazione all’interno di un gruppo. Certamente all’epoca le tecniche erano assolutamente diverse, in quanto non c’era il concetto di motricità bensì quello del canto. Una volta c’erano gli esercizi cantilenati, ovviamente la mia volontà e la relazione nel gruppo mi hanno aiutato molto. Inoltre ho trovato beneficio anche dal fatto di avere delle responsabilità verso gli altri, cosa che faccio anche con i miei allievi.

Cioè?

Consento loro di stare dall’altra parte. In pratica propongo ai ragazzi di utilizzare le competenze che possiedono per insegnarle ai propri compagni. Questo per rinforzare l’autostima visto che una persona migliora anche attraverso le proprie sicurezze. Adesso mi trovo in un range di normalità, la balbuzie è solo un ricordo.

Dove avete la sede centrale?

A Roma. Dovendo seguire poi i ragazzi in tutt’Italia facciamo corsi estivi o invernali in momenti non scolastici, in quanto noi abbiamo bisogno di molte ore di lavoro continuativo.

Quante?

Lavoriamo circa 14 giorni consecutivi per un numero di ore che va dalle 6 alle 9 al giorno. In questo lasso di tempo si fa di tutto, c’è molta tecnica ma anche relazione.

Su cosa poggia in particolare il vostro metodo?

La terapia di gruppo è quella fondamentale. È molto importante, infatti, rendersi conto che la balbuzie è un problema di relazione quindi ci vuole uno specialista che si occupi delle emotività. La terapia singola, infatti, non funziona perché non fai entrare in ansia il bambino e quindi non lavori nel territorio della balbuzie. Lavorando al di fuori, dunque, è tutto inutile. Ovviamente ci sono delle prove e degli step mirati che ti accompagnano gradualmente.

Con quali risultati?

Sono molto alti, direi sorprendenti ma chiaramente non sono definitivi. Di conseguenza c’è bisogno di un altro percorso, di consolidamento, che viene realizzato a step di sei mesi. Due step nel corso di un anno. Noi andiamo a incontrare gli allievi 1/2 volte al mese in quasi tutte le regioni italiane. Raduniamo i ragazzi in delle piccole sedi transitorie dove li seguiamo almeno per un anno. Ripeto, il risultato arriva entro pochi mesi però poi va consolidato in uno o due anni. Tanti ragazzi continuano a frequentarci anche dopo la fine del percorso, per una sorta di training emotivo.

Quanto incide l’età sulla riuscita della terapia?

L’età conta, anche se ho visto persone di oltre quarant’anni superare tranquillamente la disfluenza. Ovviamente se si inizia tra gli otto e i vent’anni l’assorbimento della motricità emotiva è molto più alto in quanto il cervello è più plastico. Inoltre i ragazzi vanno a scuola e sono ancora seguiti dalla famiglia.

A proposito del pianeta scuola il vostro centro come si pone?

Attualmente abbiamo un grande dialogo. Visito circa cento scuole l’anno, mi chiamano da tutt’Italia per fare formazione agli insegnanti. Spesso, infatti, i docenti devono far fronte a situazioni individuali che richiederebbero una preparazione adeguata, più vicina però a quello di uno specialista. Ecco, allora, che il nostro obiettivo è insegnare un comportamento idoneo ad affrontare un ragazzo che balbetta.

Tipo?

Ad esempio come interrogarlo, come guardarlo, come motivarlo. Mi sono specializzato su questo e i frutti sono tantissimi e importanti. Il ragazzo, infatti, sa che dopo la mia visita l’insegnante è in grado di affrontare il suo problema, di conseguenza abbassa il tasso d’ansia e diventa estremamente fluente. Diciamo che la percentuale di miglioramento dal momento in cui vado nelle classi è di circa il 20-25%. È tantissimo e il ragazzo si sente protetto dall’insegnante.

A tal proposito ha pubblicato una sorta di vademecum per gli insegnanti, giunto già alla seconda edizione…

Proprio così. La balbuzie a scuola (Armando Editore, pp.137, euro 14,00) tratta l’educazione e la formazione che gli insegnanti devono avere. Sono le regole che gli insegnanti possono applicare a scuola per far migliorare il ragazzo e anche per avere una sorta di contatto con il linguaggio e con i disturbi del linguaggio. Un libro a mio avviso interessante, particolarmente apprezzato e tradotto anche in inglese. A gennaio, poi, ne pubblicherò un altro sulle terapie di gruppo.

Ma mettendo tutto nero su bianco non rischia di non avere più gente ai corsi…?

No, nei libri non svelo tutto…

Quali modelli tecnici utilizzate?

Sono movimenti motorio-verbali naturali. Attenzione, però, non sto parlando di trucchi… Il professore quando conosce i movimenti si coordina con il ragazzo il quale, dopo un compito o una interrogazione brillante, affronta le successive prove scolastiche con un’ansia molto bassa e una fluenza di gran lunga più alta. Quando la balbuzie esce un po’ dalla tua memoria inizia a essere un qualcosa che non vedi più e anche se qualche volta balbetti una mezza parola diventa una disfluenza naturale, normalissima. Ripeto, alla fine dei due anni i risultati sono altissimi, con grande soddisfazione di ragazzi e genitori.

Recidive ce ne sono?

Possono esserci, però solitamente avvengono quando i soggetti non sono seguiti bene a casa oppure non hanno un collegamento con il nostro programma. Chiaramente, poi, ci sono delle disfluenze molto gravi che hanno bisogno di maggior tempo, però diciamo che essendo un problema multifattoriale non c’è soltanto un risultato sul linguaggio, ma anche su come ti comporti, se sei brillante nelle occasioni emotive, quanto ti senti sicuro, quanto cresce l’autostima. Diciamo che la persona migliora in tutte le direzioni.

Quanto è importante il rapporto con i genitori?

Tantissimo. Noi ad esempio organizziamo piccoli corsi cercando di “formare” in loro una particolare sensibilità nei confronti dei ragazzi. Non però una sensibilità “pietista” o iperprotettiva ma considerandoli al pari degli altri figli. Spesso, infatti, vengono considerati ritenuti dei “figli minori…”. Bisogna credere nella terapia e soprattutto nei ragazzi. Loro, infatti, quando avvertono la fiducia dei genitori, in particolare quella del padre, hanno un rendimento elevato.

Il ruolo delle madri, invece, qual è?

Solitamente sono quelle più preoccupate, più ansiose, quasi fosse una colpa del loro modello di educazione affettiva… Invece nella gran parte dei casi non è affatto così. Collaborano moltissimo facendo lavorare i figli a casa con gli esercizi per mantenere il livello tecnico.

Terminando la nostra chiacchierata, come possiamo riassumere il Santilli pensiero?

Innanzitutto quando si entra nel centro bisogna farlo con grande fiducia in quanto i risultati saranno altissimi. Inoltre bisogna essere consapevoli che si può sicuramente uscire dalla disfluenza attraverso un percorso continuo nel tempo e soprattutto affrontato con grande passione. Il ragazzo che balbetta deve capire che non andremo a eliminare le sue caratteristiche – sensibilità, intelligenza – bensì interverremo sul disagio verbale. Altra regola: Non si può aspettare troppo ma nemmeno iniziare troppo presto il percorso in quanto il bambino non sarebbe consapevole di avere un problema.

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