L’EMIGRAZIONE SI FA ARTE

NELLA PITTURA DI IVO BATOCCO
By Piergiorgio Severini
Pubblicato il 2 Gennaio 2016

Ha fatto tappa a Cattolica, in Romagna, dopo esposizioni in altri paesi europei, il tour artistico di Ivo Batocco, il pittore di Cingoli (Macerata) che, attraverso una sua mostra, fa rivivere la “rotta della speranza” col dare corpo a personaggi e situazioni che, tra il 1861 ed il 1985, portò 29 milioni di italiani e sammarinesi a emigrare prima verso le Americhe e, solo nell’ultimo dopoguerra, verso l’Europa alla ricerca di una migliore condizione di vita. Per dirla con il critico Alberto Mazzacchera “la forza della sua pittura figurativa, fatta di strati di colore sovrapposti accentuata da evidenti contrasti luminosi, narrano del lungo viaggio della speranza, della macerante nostalgia di chi parte ma anche della promessa di una nuova vita”. Sensibile all’argomento per avere toccato con mano la dura vita dell’emigrante attraverso l’esperienza del padre che, per un periodo, lasciò l’Italia per l’Argentina, Batocco ha saputo, con grande maestria interpretativa e l’accostamento dei colori, far vibrare la corda dell’emotività nel raccontare dell’angosciante povertà dei partenti e della speranza in un futuro nuovo, di un possibile riscatto sociale e del coraggio di affrontare con pochi mezzi linguistici, culturali ed economici società ben più complesse del mondo spesso arcaico che si lasciava. Ad agevolare l’artista in questa sua impegnativa avventura è stata quella sua intrinseca poetica venata di francescanesimo che gli ha segnato l’animo allorché compì gli studi superiori nei conventi dei frati cappuccini di Jesi e di Fermo da favorirlo nel trovare “spunti e riflessioni che ha racchiuso in opere d’arte che narrano di un tassello struggente e vibrante della storia del popolo italiano e sammarinese”. Alcuni dipinti sono volutamente ambientati nelle miniere, che ingoiarono un numero elevato di nostri concittadini, altri narrano del viaggio della speranza di giovani vestiti tanto poveramente da sembrare zingari ma “in tutti – evidenzia Mazzacchera – anche in quelli più tragici dove i volti appaiono provati da indicibili sofferenze fisiche e psichiche, c’è una scintilla di speranza”.

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