LE ELEZIONI IN INDIA UNA SVOLTA PER IL CONTINENTE

By Angelo Paoluzi
Pubblicato il 1 Marzo 2014

Fra un paio di mesi la più popolosa democrazia del mondo, l’India, andrà alle urne per decidere chi la governerà nei prossimi cinque anni. Perciò noi italiani dovremmo aspettarci (a meno di clamorose svolte, sempre possibili) che si sia valicata quella data per vedere risolto il problema dei due marò, Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, indicati come responsabili, il 15 febbraio 2012, della morte di alcuni pescatori indiani, scambiati per pirati. Non ci lamentiamo delle lentezze della nostra giustizia se, in India, dopo due anni non siano stati formulati capi d’accusa e portate prove, né si sia deciso a chi spetta gestire il processo.

Circa ottocento milioni di persone – su 1,2 miliardi di abitanti – sono chiamati al voto in una situazione di estrema incertezza. Si presume che verrà sconfitto il Partito del Congresso, attualmente al governo, feudo della dinastia Gandhi che candida l’ultimo rampollo, il 43enne Rahul, figlio della donna più potente del paese, Sonia, moglie dell’assassinato premier Rajiv e nuora di Indira, anch’essa primo ministro e uccisa da una sua guardia del corpo.

È dato per vincente un esponente della destra “efficace”, il nazionalista indù Narendra Modi, del Partito del popolo indiano, governatore del Guyarat, il solo stato che non risenta del crollo dell’economia, con una crescita attorno al 10 per cento, contro una diminuzione nazionale dall’8 al 4,8. Fa da terzo incomodo, in una situazione sino a oggi sostanzialmente bipolare, il Partito dell’uomo della strada, il cui leader, Arwind Kejnival, ha espugnato a furor di popolo il municipio della capitale Nuova Delhi (15 milioni di cittadini) brandendo una scopa, un simbolo inequivocabile.

In effetti l’India si trova piuttosto in basso nella classifica internazionale della corruzione (70 su 163) con conseguenze sul tenore di vita: forbice fra pochissimi ricchi e moltissimi poveri endemici, inflazione a due cifre, crollo della rupia sui mercati finanziari, aumento del costo della vita. Il cinquanta per cento dei bambini è sottoalimentato, disoccupazione e sfruttamento del lavoro sono la regola, in alcuni stati il razzismo è moneta corrente, la condizione della donna è penosa (violenze e stupri all’ordine del giorno) e ci si deve battere per dare dignità agli ultimi: di recente, l’arcivescovo di Nuova Delhi, monsignor Ariel Couto, è stato picchiato e ammanettato, insieme con esponenti evangelici, nel corso di una manifestazione a favore dei “dalit” (i fuori casta, i senza diritti) cristiani.

L’India, nonostante le difficoltà attuali, è stata comunque collocata negli ultimi tempi fra i cosiddetti “emergenti”, quei paesi cioè che cominciano a contare sul piano dell’economia mondiale. È stata, per esempio, completamente debellata la poliomielite, con un programma costato più di un miliardo di dollari. Si esprime una classe media – che eccelle nell’informatica e nel nucleare – come spina dorsale della nazione: un quaranta per cento dell’elettorato che, nelle prossime consultazioni, potrà decidere sul vincitore e sullo sconfitto. Anche perché le tre forze politiche di cui si è parlato possono controllare soltanto la metà dei votanti. Per la formazione di un possibile governo si dovrà andare alla caccia dell’altra metà, cioè dei variegati, litigiosi, comprabili partiti regionali nei 38 stati della composita federazione indiana. Con la speranza che la grande democrazia del continente asiatico continui nella tradizione di tolleranza e Modi, se vincerà, lasci da parte l’antico programma, secondo cui gli induisti sono i padroni del  paese, e musulmani e cristiani soltanto ospiti, più o meno tollerati.

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