LA CHIESA SOCIALE DI BERGOGLIO

FUORI DALLE MURA DEL TEMPIO PER INCONTRARE GLI UOMINI
By Gianni Di Santo
Pubblicato il 2 Giugno 2014

I VALORI NON NEGOZIABILI NON SONO ALTRO, PER IL PONTEFICE ARGENTINO, CHE L’ABBANDONARSI CON MISERICORDIA E TENEREZZA AL VANGELO CHE AFFASCINA E ACCAREZZA. MA, È QUESTO IL PARADOSSO, SEMBRA CHE QUESTO “SCHEMA” ANCORA NON FACCIA COMPLETAMENTE BRECCIA DALLA MAGGIORANZA DEI PASTORI ITALIANI  Eppure Bergoglio li ha consigliati i vescovi italiani: sceglietevi voi il prossimo presidente della Cei. Raccomandazione “umilmente” re-spinta al mittente. Troppo particolare il rapporto tra il papa e la chiesa italiana, di cui, appunto, è anche il primate. Semmai una rosa di nomi suggeriti dai vescovi stessi, ma poi la scelta finale che ricada sul papa. Come giusto che sia. Peccato che non succede nel resto delle chiese del mondo dove, appunto, il primate lo elegge l’assemblea dei vescovi locali.

Una storia, questa dell’elezione del prossimo presidente della Cei, che in realtà nasconde, almeno mediaticamente, ciò che bolle in pentola nella “potente” chiesa italiana. Bergoglio la sta sottoponendo, infatti, a una cura drastica: ne ha chiesto un nuovo statuto, ma soprattutto, indica ai suoi pastori una completa conversione pastorale, più del cuore che burocratica.

Nunzio Galantino confermato per cinque anni segretario generale della Cei. Luigi Ciotti mano nella mano con il papa. Angelo De Donatis, un parroco romano, che predica gli esercizi spirituali al papa e alla curia. Bregantini che scrive le riflessioni per la via Crucis del venerdì santo. E ancora: quando questo giornale arriverà in mano ai lettori, si sarà appena conclusa l’assemblea generale della stessa Cei, nella quale Bergoglio avrà pronunciato la prolusione.

Non ricordo interventi così incisivi di un papa nella chiesa italiana. Sì, certo, Giovanni Paolo II nel 1985, durante il convegno ecclesiale di Loreto, sconfessò l’ala conciliare che faceva capo al cardinale Martini, aprendo di fatto l’era Ruini, ma non accadde durante un’assemblea generale. La differenza è notevole. Quello che cerca Francesco è una chiesa umile, sobria, povera di averi, serva del popolo di Dio e dell’umanità. Dopo il pontificato dialogico di Paolo VI, quello comunicativo-missionario di Giovanni Paolo II, e quello intellettuale di Benedetto XVI, arriva dunque la chiesa sociale di papa Bergoglio (sugli ultimi sviluppi del pontificato di papa Francesco ne ho scritto nel mio Chiesa anno zero. Una rivoluzione chiamata Francesco, Edizioni San Paolo).

Basta leggere le dichiarazioni che monsignor Galantino ha rilasciato recentemente in diverse occasioni. Intervenuto alla XV assemblea generale dell’Azione cattolica italiana, ha detto: “Ma cosa volete che se ne faccia oggi il nostro mondo di una chiesa impegnata a difendere le proprie posizioni (qualche volta dei veri e propri privilegi) in un mondo che pullula di gente che già fa questo in nome della politica e che, per fortuna, qualche volta viene smascherata ed esposta al ridicolo? Ma cosa volete che se ne faccia oggi il nostro mondo di una chiesa che non trova di meglio, in alcune circostanze, che investire energie (troppe energie) per mettere su adunate che hanno ripetutamente mostrato il fiato corto e che alla lunga si sono mostrate assolutamente inconcludenti?”.

È chiaro ormai che una chiesa potente con i potenti e docile all’idea di religione civile, Bergoglio la detesta. È ancora Galantino a rincarare la dose, riferendosi al voto di scambio: “Lasciate che crollino le chiese, lasciate che crollino i saloni, ma non si fanno queste cose. Preferisco che non si realizzino opere ex novo o che non si sistemino strutture se questo deve essere la contropartita diretta o indiretta di un impegno diretto di sacerdoti durante le elezioni, a favore di Tizio, di Caio o di Sempronio. È bene che sappiamo, una volta per tutte, che chiunque vede il vescovo o un sacerdote impegnarsi nell’orientare o influenzare il voto, ipotizza una sola cosa: l’interesse personale o la ricerca di favoritismi di varia natura”.

La chiesa che Francesco vuole e immagina è “incidentata”, che esce dalle mura del tempio per incontrare gli uomini lungo le strade delle periferie. Teologicamente e pastoralmente ne parla nell’esortazione apostolica Evangelii Gau-dium. E per quanto riguarda esperienze pastorali da seguire, basta dare un’occhiata ai nomi dei recenti cardinali oppure ai nuovi membri delle congregazioni della curia romana per rendersi conto di cosa sia importante, oggi, per papa Bergoglio.

Eppure, la domanda rimane: a maggio, cosa avrà detto alla chiesa italiana Bergoglio? Una cosa è sicura: un certo clima da “progetto culturale” e di chiesa mediatrice di interessi (anche economici) è finito. Rottamato. Il progetto è “sociale”, pastoralmente vicino agli uomini di buona volontà impegnati con chi chiede aiuto e ai lontani. Un rinnovamento quasi interiore all’interno dell’episcopato italiano, che predilige l’annuncio del vangelo sulla strada che non la comunicazione di un’idea vincente di chiesa nelle stanze del potere o negli ammiccamenti degli “atei devoti”. I valori non negoziabili non sono altro, per Bergoglio, che l’abbandonarsi con misericordia e tenerezza al vangelo che affascina e accarezza.

Ma, è questo il paradosso, sembra che questo “schema” ancora non faccia completamente breccia dalla maggioranza dei pastori italiani. C’è quasi una paura di incontrare il “nuovo”. Ecco perché i prossimi mesi saranno fondamentali per la chiesa italiana. Francesco aprirà la strada. Alla chiesa italiana la libertà e la saggezza di percorrerla con coraggio.

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