IL DOVERE MISSIONARIO DEI LAICI

By Carlo Ghidelli
Pubblicato il 3 Dicembre 2016

 Pur avendo già trattato al n.36, del dovere missionario di tutto il popolo di Dio, i padri conciliari sentono il bisogno di fermare la loro attenzione sul dovere missionario dei fedeli laici. E lo fanno immediatamente prima di concludere questo prezioso documento.

Pur avendo già trattato al n.36, del dovere missionario di tutto il popolo di Dio, i padri conciliari sentono il bisogno di fermare la loro attenzione sul dovere missionario dei fedeli laici. E lo fanno immediatamente prima di concludere questo prezioso documento.

Potremmo chiederci perché e forse non saremmo lontani dal vero se dicessimo che l’esperienza dei vescovi provenienti da terre di missione avevano ben presente la realtà delle loro chiese particolari, nelle quali la presenza e l’azione di laici si rivela di estrema importanza e necessità. Non abbiamo motivo an-che noi di prendere sul serio il loro insegnamento e chiederci se le nostre chiesa particolari e locali, cioè le diocesi e le parrocchie, non sono ancora troppo clerico-dipendenti, cioè ancorate all’azione dei preti e dei vescovi, con la conseguente esclusione dei laici, uomini e donne, dall’azione pastorale minuta?

  1. Testimoni e vivi strumenti

Ilaici cooperano all’opera evangelizzatrice della chiesa e partecipano a un tempo come testimoni e come strumenti vivi alla sua missione salvifica (n.41). Secondo l’insegnamento conciliare i fedeli laici non devono essere considerati solo come destinatari della evangelizzazione, ma anche come soggetti consapevoli e attivi.

Come testimoni, anzitutto: non nel senso che essi, i fedeli laici, sono spettatori di ciò che accade nella chiesa, ma nel senso che essi vivono personalmente in seno a una comunità di fede, che non può non rendere testimonianza di colui nel quale crede e spera.

Ma anche come strumenti vivi, cioè parte attiva nell’opera della evangelizzazione. “Parte attiva” significa che a  essi deve essere riconosciuta la facoltà di prendere iniziative opportune e adeguate ai tempi nei quali viviamo. Inoltre potrebbe anche significare che essi hanno il diritto e il dovere, come si legge esplicitamente in Lumen gentium 10 e in Apostolicam actuositatem 3, di svolgere opere di apostolato.

 Nelle terre già cristiane

 Nelle terre già cristiane, i laici cooperano all’opera evangelizzatrice, sviluppando in se stessi e negli altri la conoscenza e l’amore per le missioni, suscitando vocazioni nella propria famiglia. Allo scopo di rendere attuale e concreto il loro pensiero i padri conciliari distinguono chiaramente due ambiti di azione.

Per quanto riguarda le terre già cristiane i padri conciliari si limitano a richiamare cose generiche, ma non inutili, se consideriamo il livello di istruzione ancora assai basso che dobbiamo registrare a livello di semplici battezzati.

La cosa più importante è che essi, i fedeli laici, abbiano chiaro il fine al quale deve essere orientato ogni impegno “affinché il dono della fede, che hanno ricevuto gratuitamente, possa essere dato ad altri”. Si tratta cioè di donare ad altri, soprattutto a chi vive come se Gesù non fosse mai venuto sulla terra, e forse anche come se Dio non ci fosse, la bella notizia della salvezza: Dio ci ama e desidera aprire a tutti la porta della fede (vedi Atti 14,27).

  1. Nelle terre di missione

 Nelle terre di missione, invece, i laici, sia forestieri che indigeni, devono insegnare nelle scuole, avere la gestione delle faccende temporali, collaborare all’attività parrocchiale e diocesana, stabilire e promuovere le varie forme di apostolato laicale.

Anche qui avvertiamo nei padri conciliari la preoccupazione di indicare ai fedeli laici alcuni campi d’azione che sono particolarmente adatti alle loro capacità personali e alle loro competenze professionali. Ovviamente i padri conciliari non pensano solo alle scuole o alla gestione delle finanze, ma anche ad altri ambiti operativi per i quali essi hanno una preparazione specifica.

Ma quello che si evince da queste parole è il fatto che i fedeli laici devono essere essi stessi promotori, sia come collaboratori sia come corresponsabili, il che presuppone che essi abbiano raggiunto un alto grado di consapevolezza circa la necessità e la preziosità della loro cooperazione alla crescita della comunità di appartenenza. (Ad gentes fine)

Famiglie in missione

 Da alcuni anni a questa parte assistiamo ad un fenomeno molto interessante. In missione ci vanno non solo membri di istituti missionari sia maschili che femminili, ma ci vanno anche famiglie: marito, moglie e figli. Siamo dinanzi a una forma di volontariato speciale, perché in effetti moglie e marito ci vanno con una loro professionalità (medici, ingegneri, geometri, agronomi eccetera) e quindi sono in grado di mettersi a servizio di quelle comunità.

Parole di papa Francesco

 Per tutta la chiesa è importante che l’accoglienza del povero e la promozione della giustizia non vengano affidate solo a degli specialisti, ma siano un’attenzione di tutta la pastorale, della formazione dei futuri sacerdoti e religiosi, dell’impegno normale di tutte le parrocchie, i movimenti e le aggregazioni ecclesiali.

 

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