è ora di cambiare il mondo

la seconda enciclica di papa Francesco
By redazione Eco
Pubblicato il 2 Settembre 2015

Laudato si’ è arrivata negli scaffali delle librerie in un giugno assolato e nel pieno di una crisi geopolitica che riguarda in particolare i paesi del Mediterraneo. I commentatori l’hanno spulciata per bene per trovarci dentro quel “quid” di diversità rispetto ad altri, i preti (forse) l’hanno letta, qualche vescovo se ne è innamorato, qualcun altro no. Insomma, non uno scritto qualsiasi, ma un’enciclica che di sicuro è uno degli atti più importanti del pontificato di Bergoglio. Penso però che questa enciclica, più che commentata, vada assaggiata, degustata e infine digerita.

Tuttavia, alcuni sapori sono immediatamente riconoscibili. Il titolo: Laudato si’. Sulla cura della casa comune, è uno schiaffo in faccia a secoli di dogmatismo e teso a un lirismo del cosmo che parecchi pastori dovrebbero imparare a riconoscere nella vita di ogni giorno. Laudato si’ non è il lascito francescano dell’amore verso il mondo e l’universo o meglio ancora l’omaggio a una melassa new age dove l’ambiente e la natura si accarezzano senza mai però toccarsi. Meglio subito esser chiari, così come lo è stato papa Francesco. L’enciclica, invece, rappresenta una vera e propria magna charta dell’educazione al rispetto del creato, senza tanti fronzoli letterari e andando al sodo delle questioni. Si dirà: tante parole e molti concetti generali. In realtà l’enciclica contiene molti capitoli e si sviluppa in molte pagine (oltre le centocinquanta a seconda delle edizioni), ma mai come questa volta la voce di un papa si alza nel cielo per raccontare la terra, questa terra e questo mondo che noi tutti abitiamo. Entra nelle nostre case, ci dice che così non va più, che questo povero mondo lo stiamo distruggendo a forza di sfruttarlo nel peggiore dei modi e sempre in funzione del dio-denaro. E l’altro Dio, quello che ci ha creati, dove lo mettiamo? E ancora: e i nostri figli, quale futuro per i nostri figli? Il creato è la casa comune di tutti. E tutti ne dovremmo aver cura.

Le domande di papa Francesco, e i consigli che egli dà per un corretto riavvicinamento fisico e spirituale all’ambiente, al clima e alla salvaguardia del creato, sono domande reali. Ci dicono come usare bene e meglio l’energia elettrica, ci ricordano che l’acqua è un bene pubblico, che i rifiuti urbani e industriali sono un problema di tutti, e che potremmo cominciare a investire sul serio verso altre fonti di energia rinnovabile e “verde”.

Consigli, non dogmi. Domande, non certezze. Il Laudato di Francesco arriva d’impatto nel bel mezzo di una crisi mondiale che vede l’economia dei paesi ricchi in panne, quella dei paesi poveri mai sviluppata, e in un quadro geopolitico mondiale dove guerra e terrorismo stanno allontanando la via della pace come arma di democrazia e sviluppo sostenibile.

Il linguaggio, altra perla dell’enciclica. Semplice, sobrio e per tutti. La sua carica profetica è evidente, e lontano, per stile e contenuto, da encicliche ultime pur interessanti. Un linguaggio diretto per tutti, credenti e non, agnostici e fedeli di qualsiasi religione. Evidenti sono le aperture verso quel dialogo ecumenico con le chiese sorelle (vedi la citazione del patriarca Bartolomeo I) che proprio sui temi riguardanti la salvaguardia del creato hanno mantenuto in questi anni, pur difficili, i pochi canali di un percorso unitario che papa Francesco immagina da compiersi il più presto possibile. Ma davvero qui si va oltre. Oltre il religioso, e l’enciclica è per i fedeli, oltre il realismo, e l’enciclica è per i laici. Un linguaggio chiaro, conciso e popolare, per farsi capire da tutti, ma con l’afflato di una riserva etica, diremmo d’amore guardando il sorriso di papa Francesco, che tutto riunisce, abbraccia, consola, protegge. E, infine, benedice.

La ricerca del bene comune che trasborda dalle pagine non è, come spesso a volte è stato, un decalogo dei “buoni proponimenti” adatti solo alle conferenze per i soliti esperti e noti, ma è un vero e proprio accompagno all’ecologia del quotidiano, che già di per sé spariglia le prudenze diplomatiche e pastorali in vista di un’autentica spiritualità del creato.

Scrive il papa al paragrafo 160: “Che tipo di mondo desideriamo trasmettere a coloro che verranno dopo di noi, ai bambini che stanno crescendo? Questa domanda non riguarda solo l’ambiente in modo isolato, perché non si può porre la questione in maniera parziale. Quando ci interroghiamo circa il mondo che vogliamo lasciare ci riferiamo soprattutto al suo orientamento generale, al suo senso, ai suoi valori. Se non pulsa in esse questa domanda di fondo, non credo che le nostre preoccupazioni ecologiche possano ottenere effetti importanti. Ma se questa domanda viene posta con coraggio, ci conduce inesorabilmente ad altri interrogativi molto diretti: A che scopo passiamo da questo mondo? Per quale fine siamo venuti in questa vita? Per che scopo lavoriamo e lottiamo? Perché questa terra ha bisogno di noi? Pertanto, non basta più dire che dobbiamo preoccuparci per le future generazioni. Occorre rendersi conto che quello che c’è in gioco è la dignità di noi stessi. Siamo noi i primi interessati a trasmettere un pianeta abitabile per l’umanità che verrà dopo di noi. È un dramma per noi stessi, perché ciò chiama in causa il significato del nostro passaggio su questa terra”. Sì, questa enciclica è un godimento assoluto. Il cristianesimo degli anni duemila, visto dalla terra verso il cielo. Il mondo, i popoli, le nazioni, i go-vernanti, ne hanno veramente bisogno (al-tri commenti a pag 32).

 

 

 

 

 

 

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