CI RITROVEREMO IN AUTUNNO CON UNA EUROPA DIVERSA

dopo le presidenziali austriache, il Brexit e le elezioni in Spagna
By Angelo Paoluzi
Pubblicato il 1 Luglio 2016

 

In questi mesi sono giunti al pettine, tutti assieme, alcuni nodi che stanno cambiando il destino del vecchio continente. Un’Europa diversa ci accoglierà all’inizio dell’autunno. Il quadro generale dei rapporti all’interno dell’Unione non soltanto sarà cambiato come conseguenza del referendum sulla permanenza o no della Gran Bretagna nell’UE, quale che ne sia stato l’esito, ma anche a causa di una serie di avvenimenti che si saranno svolti fra la primavera e l’estate (in attesa dello scontro all’ultimo sangue sul ring americano per la presidenza) e che lasceranno anch’essi un marchio sul nostro 2016. È quasi un destino che, anno più, anno meno, attorno alla prima quindicina di ogni secolo (nel 1815 il Congresso di Vienna, nel 1917 l’entrata in guerra dell’America con gli Alleati) all’Europa sia impressa una scossa che ne condizionerà il futuro.

In questi mesi sono giunti al pettine, tutti assieme, alcuni nodi che stanno cambiando il destino del vecchio continente. Certamente attorno alla decisione inglese si sviluppa una serie di conseguenze che modificheranno i rapporti dell’Inghilterra con l’Unione Europea, al di là dal risultato del voto popolare che, in ogni caso, costituisce una mozione di sfiducia venuta dalla “pancia” di una nazione importante. L’euroscetticismo britannico, oltre tutto, è soltanto uno dei sintomi che un certo clima è cambiato. Non bisogna sottovalutare, per esempio, quello che ha significato il voto austriaco: se l’estrema destra populista è stata battuta al ballottaggio sul filo del rasoio, non si potrà per sempre continuare a confidare sulle reazioni democratiche all’ultimo momento dei cittadini. Come era già avvenuto alla fine dell’anno scorso in Francia, quando il Fronte nazionale vide svanire le proprie speranze di conquista per merito di un soprassalto “repubblicano” dell’elettorato. Un elettorato che però, in Austria e in Francia, alla fine può non rispondere più.

Nel frattempo il panorama sarà cambiato anche in Spagna, come dimostrato dalle elezioni politiche di giugno, con la gente che dà ormai credito a formazioni fuori dagli schemi di partiti che si richiamano alle tradizionali divisioni destra-centro-sinistra. E tuttavia una nota consolante delle ultime consultazioni sta nel fatto che le minoranze autonomiste (scozzesi nel Regno Unito, catalani e baschi in Spagna, baschi in Francia) vedono nell’Unione Europea la garanzia del rispetto dei diritti. Un discorso che soltanto in Italia non si può fare, per il rozzo provincialismo che ispira la Lega. L’altro elemento positivo che va registrato è l’avvenuto rientro della Grecia nella normalità di una gestione della crisi che ne impedisca l’uscita dalla Ue, con un danno di immagine (si può immaginare l’Europa senza Atene?) oltre che per le negative conseguenze pratiche da affrontare.

Ai discorsi particolari sul deficit di consenso europeistico si aggiunge un elemento sostanziale in quanto tocca l’essenza stessa dei principi sui quali si fonda la realtà europea, cioè l’insieme delle libertà, e fra esse quelle di espressione e di associazione, nonché l’indipendenza della magistratura dal potere politico.

Questo rischio si corre all’est, principalmente in Ungheria e Polonia, e in qualche misura in Slovacchia e nelle repubbliche baltiche. In questi paesi i governi ritengono che l’investitura popolare li autorizzi, una volta per tutte, a stravolgere le norme della convivenza democratica, ad amministrare la giustizia piegandola alle pretese dell’esecutivo, a eliminare alcune garanzie costituzionali specialmente in ordine alla libertà di stampa e al diritto di sciopero. Ne risultano imponenti manifestazioni di protesta, spesso represse con una violenza, alla quale forse fanno poco caso i media europei, non inferiore a quella, che ha suscitato tanto clamore, spiegata lo scorso maggio in Francia durante le contestazioni della legge sul lavoro.

Si ha purtroppo l’impressione di una reticenza a intervenire, rispetto a gravi violazioni di fondo dello spirito comunitario, da parte dell’Unione Europea, i cui burocrati sono inflessibili contro i formaggi da fossa o nei confronti delle curvature delle banane, delle dimensioni delle vongole o della lunghezza delle pinne del pesce spada. Anche di recente Bruxelles si è mossa con i piedi di piombo nel chiedere ragione a Varsavia e Budapest (che peraltro hanno risposto con arroganza) degli arbitrii perpetrati o delle intenzioni di restringere le libertà civili. La pratica è stata istruita con grande prudenza; a suo tempo si fu molto più severi con una Grecia messa all’angolo di una gravissima crisi economica, quasi a far capire che un default finanziario è cosa più seria di un insulto alla democrazia.

Per applicare eventuali sanzioni (nel mirino, in modo particolare, ci sono i provvedimenti restrittivi della Polonia) è necessaria l’unanimità degli altri 28: l’Ungheria ha già detto che non darà voto favorevole. È questa una delle ragioni per le quali ci troveremo, alla ripresa, diversi e peggiori.

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