AVANTI A TESTA BASSA

intervista A MARTIN CASTROGIOVANNI
By Gino Consorti
Pubblicato il 30 Maggio 2016

Il popolare pilone Della nazionale italiana, campione di rugby e generosità, convive da anni con la celiachia e ha sconfitto il tumore. L’impegno nel sociale lo vede protagonista in tante iniziative incarnando quello spirito di squadra, proprio dello sport in genere ma in modo particolare della palla ovale, che non ti lascia mai solo. Quel simpatico siparietto con papa Francesco…  Quando ci facciamo la “foto ricordo” mi rendo subito conto che trovarselo di fronte in una mischia una certa ansia addosso non può non mettertela… Centoventi chili di muscoli ben distribuiti in un metro e novanta di altezza. Il classico armadio a due ante che custodisce un cuore grande così… Lui è Martin Castrogiovanni, 34 anni, mitico pilone della nazionale italiana di rugby e uno dei più forti giocatori al mondo. Argentino di origini italiane – il bisnonno Angelo era di Leonforte, in provincia di Enna – nella sua mirabile carriera ha vinto praticamente tutto: un campionato italiano e una Coppa Italia con il Calvisano (Brescia); tre volte campione d’Inghilterra con i Leicester Tiger, dove nel suo primo anno oltre manica gli è valso anche il prestigioso riconoscimento di “miglior giocatore dell’anno”, titolo per la prima volta assegnato a un pilone; un campionato di Francia e due Heineken Cup (Coppa dei Campioni) con il Tolone. Pedina inamovibile della nazionale italiana dove ha esordito a soli 21 anni giocando ad Hamilton contro i leggendari All Blacks. Dal 2003 a oggi con la maglia azzurra ha partecipato a tutti i Sei Nazioni e a quattro edizioni del Mondiale. Dal 2015 milita nel Racing Métro 92, il club parigino con cui recentemente si è trovato al centro di una polemica. In pratica Martin, non essendo stato convocato per la semifinale di Champions Cup contro la sua ex squadra, i Leicester Tigers, come ritratto da una foto pubblicata da L’équipe anziché assistere alla partita era volato a Las Vegas per festeggiare la vittoria del campionato francese di calcio e della coppa di lega del Paris Saint Germain. Da qui la decisione, attraverso un comunicato del club, di sospendere il giocatore azzurro in attesa di chiarire il tutto. Dopo il comunicato ufficiale la palla è passata in mano ai legali per la definizione di eventuali sanzioni e, al momento di andare in stampa, non ci sono ulteriori commenti sulla vicenda. Per la cronaca, i compagni di squadra di Martin in quell’incontro avevano battuto i Leicester Tigers approdando alla finale persa, però, lo scorso 14 maggio a Lione contro i Saracens.

Ma torniamo al nostro gigante buono con cui ho appuntamento a Milano, in occasione di un suo blitz come testimonial della Magniflex. Recentemente ha mandato in libreria Raggiungi la tua meta (Sperling & Kupfer, pp. 201, euro 18,00), un bellissimo volume dove con schiettezza e simpatia riavvolge il nastro della sua vita. Una storia affascinante, infarcita di aneddoti e curiosità, che dedica ai nonni i quali occupano un posto di rilievo nel suo cuore. Già, un cuore veramente speciale quello che batte nel petto di Martin Castrogiovanni. Nel 2011, dopo anni di sofferenza silenziosa, ha scoperto di essere celiaco. Un nemico invisibile che gli ha fatto perdere peso – per un pilone è un bel guaio… – macchiato il corpo con fastidiose eruzioni cutanee e mandato in tilt l’intestino. Ma soprattutto quel malessere oscuro lo aveva fiaccato nel fisico e nella mente. Prima della diagnosi definitiva sapeva bene di avere una macchina potente, però c’era qualcosa che le impediva di girare a pieno regime. Lui, però, da combattente qual è, a testa bassa, come impone anche il suo ruolo nelle mischie, è andato avanti, some sempre, contro il vento. Allenamenti, amichevoli, gare ufficiali, nazionale: il guerriero barbuto e dalla chioma irrequieta è sempre lo stesso. Spende fino all’ultima goccia di energia per portare la sua maglia alla vittoria. Fino a quando, però, un giorno, il suo corpo dice basta. Così, dopo una serie di esami approfonditi, arriva la spiacevole notizia. Da oggi basta con la pizza, il pane, la pasta, eccetera eccetera, cioè la componente proteica che si trova nel frumento e in altri cereali. Ma lui mica gioca a scacchi…? I suoi muscoli hanno bisogno di tanta benzina… E adesso chi glielo dice che dovrà stravolgere il suo menu a cui è tanto affezionato? Ecco, allora, che Martin scopre un mondo parallelo, un modo di alimentarsi diverso che gli garantisce, comunque, la stessa qualità di vita. E soprattutto lo mette al riparo da pericolose conseguenze. Ma non è finita qui. Circa dieci mesi fa, dopo una lunga e tormentata sciatalgia scopre che nel suo corpo s’annida un tumore di natura nervosa che preme su una radice spinale all’altezza della quinta vertebra lombare. Tanti avrebbero piegato le ginocchia dinanzi a un simile verdetto, ma non Martin. Ancora una volta, infatti, testa bassa e avanti tutta. La vita è troppo bella per piangersi addosso. Pensare positivo è stato sempre il suo marchio di fabbrica così tra i suoi tanti trofei mette anche questa vittoria dal sapore particolare… Da questi due episodi, però, ne esce rafforzato e migliorato. Inizia a vedere con occhi diversi il mondo e le sue tante sofferenze. In pratica dalle sue storie ha tirato fuori il positivo. L’amicizia, la famiglia, la solidarietà sono sempre stati di casa nel suo cuore, ma i due “contrattempi” lo hanno reso veramente speciale. Oltre allo sport e all’amore per la cucina si è impegnato fattivamente per regalare raggi di sole a chi ha il cuore nelle tenebre a causa dell’angoscia della malattia e della sofferenza. Dio, si sa, bussa in fondo al cuore di ogni sua creatura e Martin non ha esitato neanche un momento a rispondere… Ha scelto di condividere la sua vita con chi ha smarrito anche la bellezza di un semplice sorriso. Il suo quotidiano è diventato parte di un grande disegno che riempie e soddisfa chi lo riceve ma soprattutto chi lo compie. Con questo obiettivo, allora, ha messo in piedi la Castro Rugby Academy dove l’entusiasmo, la purezza e passione dei ragazzi che vi partecipano di volta in volta gli regalano un tesoro fatto di storie ed emozioni, segnandolo nel profondo. L’impegno nel sociale lo vede protagonista in numerose e importanti iniziative incarnando quello spirito di squadra, proprio dello sport in genere ma in modo particolare della palla ovale, che non ti lascia mai solo. Quando si parla di solidarietà lui c’è sempre. E come racconta nel libro, le lezioni più toccanti e commoventi le ha apprese infatti proprio dai ragazzi. Andiamo, allora, ad aprire insieme la scatola della sua vita.

Martin arriva puntuale da Parigi al nostro appuntamento. Almeno sino all’ingresso di uno dei padiglioni del polo espositivo di Rho Fiera. Nell’attraversarlo, infatti, si “rimangia” tutto arrivando con un discreto ritardo a causa del calore e dell’affetto tributatigli dalla gente in ogni metro del percorso… Come dargli colpa, allora? Anche perché una volta che ci salutiamo e gli stringo la mano la sua “presa energica” allontana d’incanto ogni cattivo pensiero dalla mia mente… Il tempo di sistemargli il microfono e scambiare qualche battuta, e subito mi accorgo di trovarmi davanti a una bella persona.

Ciao Martin, partiamo dai tuoi inizi. Come è possibile che un ragazzo che fino a 17 anni non aveva mai preso in mano una palla da rugby sia diventato uno dei più forti giocatori del mondo e un idolo di tanti giovani?

Quando ci sono testa e determinazione credo che tutti possano fare tutto. Nella mia c’era quella di giocare a rugby e cercare di essere il migliore in quello che facevo. Ho inseguito allora il mio sogno e alla fine l’ho raggiunto.

Un figlio della terra di Maradona, Messi e dell’amico Zanetti e con un bisnonno italiano, come è arrivato a inseguire una palla ovale?

Sono stati i miei amici che giocavano tutti a rugby a convincermi. Mi dicevano che con un fisico del genere sarei stato perfetto per quello sport. Così hanno insistito a lungo e alla fine mi sono ritrovato a giocare con la palla ovale. Oltre all’insistenza dei miei amici mi ha convinto il loro modo di fare gruppo, come vivevano gli allenamenti e le partite. Tutto ciò mi piaceva tantissimo. Però restava un ostacolo…

Cioè?

Mia mamma non voleva assolutamente che giocassi a rugby. Lo riteneva troppo pericoloso e violento.

Ora che ha un figlio famoso, però, avrà cambiato idea…

Diciamo che a distanza di tempo più che altro lo ha accettato, però ho dovuto combattere a lungo con lei… Credo sia stata l’unica volta in cui mia mamma non abbia avuto ragione…

È vero che da bambino volevi fare il prete?

Sì, mia mamma mi ha sempre detto che da piccolo avevo questo desiderio. Poi, col passare degli anni, la mia aspirazione era fare l’attore. Alla fine, però, sono diventato un rugbista. Da cosa nascesse quel mio desiderio non saprei dirlo, forse dal fatto che ho frequentato un collegio cattolico.

A proposito di determinazione, per amore, Martin, si può anche trascorrere una notte appisolato sull’uscio di casa della fidanzata che non vuole più saperne…?

Come ti dicevo sono un tipo abbastanza testardo quindi quando mi metto in mente una cosa faccio di tutto per ottenerla. In quel caso, però, mi è andata male visto che lei mi ha mollato… Anzi, dopo quell’episodio le cose sono peggiorate, non mi ha più salutato. Addirittura chiamò la polizia per farmi andare via…

Per una volta ti sei dovuto arrendere…

Sì, ma resto uno che nella vita non molla e guarda sempre avanti.

L’amore per tua madre e per tua nonna ti hanno fatto scendere in campo fasciato come una mummia…

È vero, le bende servivano a coprire i tatuaggi perché mia madre non li sopportava e mia nonna non sapeva che ce l’avessi… Per lei avere un tatuaggio significava essere un animale, una mucca marchiata… Così in ogni partita li coprivo per bene. Mia nonna è morta senza sapere di quel mio sotterfugio… La mia era una forma di rispetto. Purtroppo nei confronti dei miei nonni e anche di altri componenti della famiglia che oggi non ci sono più provo tristezza e nello stesso tempo anche un certo senso di colpa in quanto con il mio lavoro in giro per il mondo non sono riuscito a essere accanto a loro nei momenti di bisogno…

A proposito del tuo lavoro, ci spieghi brevemente cos’è il pilone e quali caratteristiche deve avere?

Deve essere ignorante… Ovviamente scherzo, ci mancherebbe. Il ruolo del pilone ritengo sia uno sport nello sport… Devi avere coraggio e spirito di sacrificio. E soprattutto tanta volontà visto che devi mettere il tuo corpo lì davanti per dare poi la palla ai tuoi compagni nel tentativo di fare meta… Devi avere una volontà da vendere, un carattere completamente diverso da chi ricopre altri ruoli.

A tuo avviso, quindi, pilone si nasce…

Certo, non puoi diventarlo. Con l’allenamento, nel tempo, puoi migliorare ma pilone devi già esserlo. Devi avere dentro qualcosa di diverso dagli altri.

“Chi gioca da pilone – cito una tua frase – merita il paradiso perché l’inferno l’ha già vissuto in terra…”.

Continuo a pensarla così… Ogni mattina, infatti, appena sveglio faccio una fatica incredibile ad alzarmi dal letto per i dolori che ho addosso… Addirittura non riesco a mettermi neanche i calzini, pagherei qualcuno che lo facesse al posto mio… Schiena, collo e altre parti del corpo ogni giorno si fanno sentire, però resta sempre uno sport bello e affascinante.

Perché in una partita di rugby la prima mischia è quella più importante?

Perché fai capire al tuo avversario chi sei e cosa lo aspetta quel giorno… È come nella vita, la prima impressione è quella che conta…

Quanto è stato difficile lasciare l’Argentina per giocare in Europa?

Tanto. Ricordo che quando sono partito in aereo mi sono chiuso in bagno piangendo come un bambino… Avevo lasciato tutto: i miei affetti, la mia casa, la famiglia, i miei amici… Avevo vent’anni e non è stato facile staccarmi da tutto questo. Finché vivi in Europa e cambi paese il distacco può essere meno duro, nel mio caso invece lasciavo l’Argentina per andare in una terra molto lontana… Dall’altra parte, però, inseguivo un sogno e quindi avevo messo in conto tanti sacrifici da affrontare, come appunto quello di dover lasciare casa. Tutto sommato, poi, sono una persona che si adatta abbastanza bene.

La vita, però, spesso ci sottopone a prove complicate… Ecco, allora, che a te un giorno viene diagnosticata la celiachia… Qual è stata la tua prima reazione?

Che cavolo è…? All’inizio non capivo cosa volesse significare, ero disorientato. Poi, piano piano, ho iniziato a conoscerla. Sicuramente è un problema ma nella vita ce ne sono sicuramente di molti più seri. Vent’anni fa era decisamente più difficile convivere con questa malattia, adesso, invece, tutto sommato è possibile senza grossi problemi. Anche per quelle persone che come me sono costrette spesso a mangiare fuori casa o addirittura in altri paesi.

Prima di allora il tuo fisico possente non aveva inviato alcun segnale?

Certo, come no… Da tanto tempo avevo una sorta di dermatite in testa e all’altezza dei gomiti. Mi avevano detto che era la psoriasi dovuta all’ansia. In vita mia, però, non sono stato mai nervoso prima di una partita, né da giovane né da vecchio. Visto però che il tutto s’intensificava proprio alla vigilia delle partite i medici erano arrivati a questa conclusione. Nel mio caso, però, come tutti i giocatori, alla vigilia di una gara facevo il pieno di carboidrati e quindi apriti cielo… Da giovane, a 21 anni, quando giocavo nel Calvisano, avevo fatto alcuni test per l’intolleranza alimentare e in quella occasione mi avevano detto di evitare il glutine. Io però, come ti dicevo, essendo testardo non mi ero per nulla preoccupato di quella raccomandazione. E così, anno dopo anno, la situazione è peggiorata sino a quando il mio corpo non si è ribellato…

Quindi hai sempre giocato non al meglio delle condizioni fisiche…

Proprio così. Ho perso tanti chili, ero sempre stanco, non riuscivo a dormire e subivo tanti infortuni muscolari. Però non mi sono mai fermato. Ricordo che in quel periodo avevo perso la forza, in palestra non riuscivo ad allenarmi come dovevo. Poi, una volta avuta la diagnosi certa, ho tolto dalla mia dieta determinati cibi e a quel punto sono rinato…

Non hai avuto più alcuna ricaduta?

Purtroppo una volta è capitato… Dopo circa sei mesi, durante un viaggio in America con gli amici, ho riprovato a mangiare alcuni cibi “proibiti”…

Con quale effetto?

Sono stato malissimo. È stato allora che ho detto definitivamente basta. Mi sono imposto di seguire per sempre le nuove regole alimentari.

Alla luce della tua esperienza, quale consiglio dare alle tante persone, anche giovanissime, che vivono la tua stessa situazione?

Essere celiaci non è la fine del mondo, nella vita ci sono cose peggiori. Anche perché come dicevo prima oggi c’è la possibilità anche di avere in menu la pizza, il pane, la pasta… Certo, mangiando spesso fuori potrebbe anche esserci il rischio di una contaminazione, ma ormai c’è tanta attenzione nei confronti di questa patologia e anche i ristoranti si sono attrezzati. Sia per il menu, sia per gli arnesi da cucina. D’altra parte con le intolleranze alimentari non si scherza, si potrebbe anche morire. Per fortuna nel tempo si è maturata questa cultura.

È stata la celiachia a farti avvicinare ai fornelli? Oltre a cavartela in cucina, infatti, sei titolare anche di alcuni ristoranti…

Sì, è stata proprio la malattia a spingermi verso questo nuovo percorso… Ho iniziato ,facendo il pane in casa e via via mi sono innamorato della cucina e dei suoi tanti segreti…

Come se non bastasse, però, nel 2015 arriva un altro “contrattempo”. Un tumore che ti causava problemi alla quinta vertebra e al nervo sciatico… Operazione e addio ai Mondiali in Gran Bretagna…

È stata una storia un po’ strana perché per tutto l’anno sono stato curato per una sciatalgia. Non riuscivo a correre però ricevevo assicurazioni sulla mia salute. Continuavo a giocare perché sono uno che non molla, ma non stavo bene. Poi, un giorno, mi sono sottoposto a risonanza magnetica. Una volta avuto il referto, però, ho visto il mio medico sbiancare in volto… Ovviamente non comprendevo quei termini medici e nessuno voleva dirmi niente… Confesso che in quei momenti la mia mente era piena di interrogativi senza risposte… Il mio medico, allora, il giorno dopo, all’insaputa di amici e compagni di squadra, mi ha portato in Italia per un consulto. Una volta a Milano sono stato visitato da un vero e proprio luminare al centro Humanitas. Il neurochirurgo Maurizio Fornari mi ha subito rassicurato dicendo che nel corso della sua esperienza in quella parte del corpo di tumori maligni non ne aveva mai visti… Poi, però, ovviamente, mi ha informato sugli ipotetici rischi dell’intervento chirurgico che avrei dovuto affrontare.

Ad esempio?

Ad esempio se si tocca un nervo si rischia di non camminare più o comunque di dover abbandonare l’attività. In quel momento, allora, ti passa davanti tutta la vita, la tua carriera, i tuoi affetti.

È stato il momento della vita in cui ha avuto più paura?

Come dice un mio amico, paura e soldi non li ho mai avuti… Più che altro, avendo una certa età qualche domanda sul futuro professionale inizi a fartela… Ho incontrato tanta gente con problemi più o meno simili, soprattutto bambini affetti da patologie gravissime, ma quando capita a te cambi veramente modo di vedere la vita. L’apprezzi ancora di più. Io ogni mattina posso alzarmi e fare ciò che voglio, a tanti altri meno fortunati di me, invece, non è possibile… Alla fine, infatti, ho superato alla grande entrambi i problemi. Poteva andarmi decisamente peggio, dunque mi considero un fortunato della vita. Sono altri, infatti, i problemi che tolgono il sorriso…

Il tuo fisico statuario custodisce un cuore particolarmente generoso. Se ti faccio il nome di Giovanni cosa mi dici?

Giovanni è un bambino di 9 anni che mi ha insegnato tantissimo. Purtroppo è un malato terminale a causa di un cancro al sistema nervoso. Lui ha partecipato alla seconda edizione della Castro Rugby Academy e in quella occasione ho assistito a un piccolo miracolo…

Cioè?

Prima che arrivasse a Jesolo i suoi genitori mi avevano detto che a causa degli effetti collaterali delle terapie faceva una gran fatica a muoversi. Al momento di partire, però, si era incredibilmente ripreso. Una volta al campo, poi, non potevo più fermarlo… Ha sostenuto un allenamento vero e proprio correndo e schivando gli avversari per tutto il pomeriggio. Si è divertito tantissimo a tal punto da non dover ricorrere ai consueti antidolorifici… L’entusiasmo scaturito da quella giornata all’insegna del-lo sport e della condivisione ha rappresentato una medicina formidabile…

Vi siete visti altre volte?

Nel nostro primo incontro in ospedale gli avevo promesso che un giorno sarei andato a trovarlo a casa sua. Così alcuni giorni fa, avendo saputo dalla sua famiglia che purtroppo gli restava poco tempo, nel mio giorno libero ho preso l’aereo e sono andato a fargli visita. Le promesse vanno sempre mantenute, soprattutto quelle fatte ai bambini.

Immagino sia stato felice di vederti…

Credo di sì, anche se è attaccato a una macchina… Sono restato insieme a lui un giorno e mezzo, può muovere solo le mani così abbiamo giocato alla Wii per quasi otto ore di fila… Lui sta andando oltre ogni aspettativa e credo che quella giornata sia stata meglio di tanti antidolorifici e medicinali… Per me quel bambino è un guerriero, così come l’ho sempre chiamato, uno che ti riempie di gioia solo a vederlo. Va avanti a testa alta nonostante la terribile malattia. I bambini sono persone pure, non dicono o fanno cose per convenienza, lui rimarrà sempre nel mio cuore insieme alla sua storia…

Ti faccio un altro nome, Olivia…

Olivia è la figlia undicenne di un mio ex compagno di squadra del Calvisano, Emi-liano Mulieri, anch’egli di origine argentina. È stata lei a farmi aprire gli occhi su una realtà a me sconosciuta come quella dei bambini sordi. Grazie a lei ho creato un’associazione, nata nel 2010 a Padova, con lo scopo di favorire l’integrazione di questi bambini nella società, anche e soprattutto attraverso l’attività sportiva. E al centro dell’associazione Olivia-InSegnare per Integrare c’è un progetto di bilinguismo Italiano-Lis (lingua dei segni, ndr) animato da un gruppo di genitori di bambini sordi che ha a cuore l’integrazione di questi ragazzi. Ho tirato dentro questo progetto tanti amici e conoscenti, a iniziare dal capitano della nazionale Sergio Parisse. E ancora mi commuovo quando penso alla gara con il Galles giocata allo stadio Olimpico di Roma durante il Sei Nazioni del 2013 dove 15 bambini dell’Istituto statale di istruzione specializzata per sordi ci hanno accompagnato durante l’inno di Mameli interpretandolo con la comunicazione visiva della lingua dei segni…

Eccoci ad Andrea…

Un altro bambino straordinario portato via a dieci anni da una leucemia… Il suo amore e la bellezza del suo cuore, però, sono restati in mezzo a noi grazie all’associazione Andrea Tudisco Onlus che aiuta i piccoli malati in cura nei principali ospedali di Roma, anche con la clownterapia. Durante la sua degenza presso l’ospedale pediatrico Bambino Gesù, Andrea aveva chiesto a sua madre di ospitare a casa la mamma di un bimbo malato che si trovava accanto al suo letto e che veniva da un paese lontano… Un gesto di una bontà unica. Così la casa di Andrea, di mamma Fiorella e di papà Nicola è diventata un punto di riferimento per i tanti genitori dei piccoli ricoverati. Anch’io faccio parte di questa bellissima famiglia e quando vado a visitare i bambini della casa di Andrea, magari accompagnato dai miei compagni della nazionale, il prato diventa un campo di battaglia…

Chiudiamo con Beatrice…

Un altro straordinario esempio di attaccamento alla vita. Ha lottato contro una malattia bruttissima e l’ha sconfitta. E non contenta oggi è una bravissima atleta paralimpica. A 11 anni, infatti, è stata colpita da una meningite che le ha causato l’amputazione degli arti superiori e inferiori. Un colpo tremendo che avrebbe messo ko chiunque, ma non lei che è diventata campionessa mondiale di fioretto individuale…

Un tipo alla Castrogiovanni, non arretra di un millimetro dinanzi a qualsiasi avversità della vita…

Fidati, lei è più testarda di me… È una persona che nonostante la sua disabilità fa tanto per gli altri. Oggi ha 19 anni ed è una ragazza fantastica, il suo esempio mi aiuta ad affrontare ogni impegno e “contrattempo” con il sorriso nel cuore. Cerco sempre di mettermi nei panni degli altri e quando torno a casa dopo aver abbracciato un bambino che non ha più i capelli a causa delle terapie oppure ho accarezzato un ragazzo su una sedia a rotelle, mi rendo conto di essere fortunato perché loro ogni volta arricchiscono il mio cuore.

Senti Martin, cosa dire a quei genitori che non vogliono che i loro figli giochino a rugby perché lo ritengono uno sport pericoloso?

Lo sport in generale è importante perché ti forma, sia nell’animo, sia nel fisico. Ancor di più, a mio avviso, lo è il rugby che può contare ancora su certi valori importanti difficilmente riscontrabili in altri sport. Le ossa, poi, sono fatte per rompersi…, gli infortuni possono capitare in qualunque sport, bisogna metterli in conto. Ma questo vale anche per chi non fa sport…

Ci spieghi cos’è la Castro Rugby Academy?

È un’idea nata con alcuni amici, anche se poi ci siamo separati. Il mio obiettivo non è quello di insegnare il rugby bensì cercare di trasmettere qualcosa che in questo nostro tempo stiamo perdendo. Appassionare cioè i ragazzi ai valori unici del rugby: la squadra, l’amicizia e il sacrificio. Qualità che saranno utili per affrontare la vita nel modo migliore.

Adesso a Leicester oltre a Castrogiovanni hanno un altro idolo targato Italia. Mi riferisco a Claudio Ranieri che ha firmato un’impresa storica regalando alla città un impensabile scudetto nella Premier League…

Ho avuto la fortuna di conoscere mister Ranieri ai tempi in cui allenava l’Inter, visto che sono un tifoso nerazzurro. La società mi aveva gentilmente invitato alla Pinetina (il centro sportivo dove hanno luogo gli allenamenti, ndr) per festeggiare i miei trent’anni. Poi tramite il marito di sua figlia, Alessandro Roja, di cui sono molto amico, e la stessa Claudia ho potuto approfondire la conoscenza. Sono particolarmente contento del traguardo raggiunto, un risultato che lo ripaga delle critiche gratuite ricevute nel corso della sua carriera. Parlare dal divano di casa o dietro un computer è molto semplice, compiere un’impresa come ha fatto lui con il Leicester è invece qualcosa di straordinario. Vincere contro colossi economici e con organici tecnici da paura significa averci messo dentro tanto del proprio lavoro. E dire che aveva in squadra gente proveniente da categorie inferiori o addirittura giocatori-operai… È una storia bellissima che presto vedremo raccontata in un film… Le sue lacrime mi hanno emozionato.

Dalla fede calcistica a quella religiosa. Che rapporto hai con Dio?

Un rapporto tutto alla Castro…, cioè tutto mio, molto personale. Come dicevo all’inizio ho svolto il percorso scolastico in una scuola cattolica e nel corso degli anni ho compiuto tutte le tappe rituali del credente: battesimo, comunione e cresima. Negli anni, poi, ho personalizzato il mio rapporto con Dio e con il suo insegnamento.

Che ne pensi di papa Francesco?

Lo adoro, è una persona eccezionale dopo la sua elezione tantissima gente si è riavvicinata alla chiesa… Gente che come me aveva perso il senso di appartenenza…

Causato da cosa?

Non da Dio, probabilmente dall’istituzione chiesa e da certi suoi ministri… Francesco è una persona semplice dal cuore infinito, le sue parole e il suo agire hanno risvegliato il senso religioso in tanti fedeli sonnacchiosi… Nella mia vita non ho mai messo in dubbio l’esistenza di Dio, tantomeno il suo grande amore, non nego però che alcuni atteggiamenti della chiesa mi hanno portato lontano… Lontano dall’istituzione ma non da chi ha creato questo mondo meraviglioso…

Ci racconti il simpatico incontro con papa Francesco e di quel groviglio di rosari…?

Nel 2013 in occasione dell’udienza nella sala Clementina a Roma delle nazionali di rugby di Italia e Argentina, mia mamma e mia nonna mi avevano messo in tasca una quindicina di rosari per farli benedire. Nel momento più opportuno, allora, mi avvicino e in spagnolo gli dico: “Papa Francesco mi deve scusare, avrei una richiesta per conto di mia nonna e mia madre…”. Infilo la mano nei pantaloni ma, al momento di tirarli fuori, i rosari si aggrovigliano incastrandosi tra le dita… Il papa, allora, dopo aver assistito in silenzio alla scenetta, ridendo mi dice: “Cosa non si fa per queste donne…”. Al di là dell’imbarazzo è stato un momento bellissimo, un’emozione incredibile. Mi fa impazzire tutto quello che fa e dice. Francesco è un cristiano vero.

Visto che non hai paura di nulla, probabilmente neanche la morte turba i tuoi sonni…

Chi crede sa benissimo che è una tappa inevitabile ma non definitiva. Io dopo i “contrattempi” fisici che mi sono capitati guardo ancora di più la vita con gioia e speranza. Cerco di vivere ogni giorno come fosse l’ultimo…

Quand’è stata l’ultima volta che hai pianto?

Io sono un tipo che piange spesso… L’ultima volta qualche giorno fa, quando sono stato a casa del mio piccolo amico Giovanni… Piango anche davanti a un film o a una storia particolare… D’altra parte mica bisogna vergognarsi delle lacrime… Anzi, piangere ti fa diventare più uomo…

Il giorno che appenderà le scarpette al “chiodo” cosa farà da grande Martin Castrogiovanni?

Ciò che più mi renderà felice. Penso che il mondo della televisione possa essere una valida opzione per cercare di trasmettere tutto ciò che ho dentro. Noi tutti dobbiamo impegnarci per un mondo migliore e non, invece, voltare le spalle a chi ci chiede aiuto. Per fare del bene basta poco, anche un semplice sorriso o una parola giusta.

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